di Germano Rossini
Nell’attuale periodo
storico stiamo assistendo al tramonto del costituzionalismo, nella versione
classica e nella nuova versione denominata neo-costituzionalismo. In particolare noi
non abbiamo più un unico ordinamento giuridico di riferimento, ma molteplici
ordinamenti. Pertanto l’opera ermeneutica del giudice diviene sempre più
impegnativa e difficoltosa, se rapportata al passato. In questa situazione noi
incontriamo anche un nuovo fenomeno che interessa l’interprete del diritto. Le
nuove migrazioni portano con sé in Italia culture molto differenti rispetto
alla cultura italiana ed alla cultura dell’Occidente. I soggetti che non
appartengono alla nostra cultura tradizionale potrebbero non comprendere le
nostre norme giuridiche, così alcuni giudici in alcuni casi hanno utilizzato l’argomentazione culturale, soprattutto per
giustificare condotte dei soggetti stranieri conformi alla loro cultura e alle
loro norme giuridiche, ma configgenti con le nostre norme giuridiche e la
nostra cultura. In quei casi nei quali i giudici hanno usato l’argomentazione
culturale gli
stessi giudici diventano una sorta di antropologi. Un forte rischio in
questa situazione è avere decisioni giudiziali viziate da soggettivismo e
improvvisazione, decisioni che causano discriminazioni per la generalità delle
persone che devono attenersi ai principi ed alle norme del nostro diritto.
1. PREMESSA
In questo contributo,
utilizzando come punto di riferimento teorico principale le categorie e gli
strumenti concettuali della prospettiva ermeneutica di
derivazione gadameriana[1],
andremo ad analizzare, in modo del tutto sommario, due fenomeni che nella fase
storica attuale, in diversi modi, interessano l’opera dell’interprete
giudiziale: l’uno è un macrofenomeno, il tramonto dei costituzionalismi,
nella versione che potremmo chiamare classica del costituzionalismo tout court,
e nella versione del neocostituzionalismo; l’altro è, almeno per
ora, un microfenomeno, l’utilizzo dell’argomentazione culturale nei
giudizi e il tentativo del giudice di farsi antropologo, al fine di
far divenire l’argomentazione culturale ratio dedicendi del
giudizio. Soprattutto, partendo dalle conseguenze che il
tramonto dei costituzionalismi delineano sull’attuale orizzonte che
l’interprete giudiziale trova attorno a sé quando si accinge ad interpretare,
ed esaminando le conseguenze che l’argomentazione culturale, ovvero
l’argomentazione della cultura altra, ha sul lavoro
esegetico dell’interprete giudiziale, andremo ad esaminare alcune prevedibili
conseguenze e rischi che la metodologiaantropologica comporta
per l’ermeneutica giudiziale presente e futura.
2. IL TRAMONTO DEI COSTITUZIONALISMI
L’interprete giudiziale che attualmente
debba volgere la sua attenzione all’interpretandum trova attorno a sé un orizzonte
precomprensivo composito e contraddistinto da fenomeni evolutivi delle fonti
giuridiche decisamente più accentuati di un tempo. In particolare, i principi e
le norme di rilievo costituzionale interno, principi e norme statuiti o
riconosciuti dallo stato, nonché, soprattutto, riconosciuti dalla
giurisprudenza interna, da qualche tempo, non rappresentano più la pressoché
univoca ed esclusiva fonte di massima autorevolezza argomentativa per
l’interprete giudiziale. Ovviamente l’interprete giudiziale, nel suo operare
per giungere al decisum, prendeva e prende in considerazione pure le norme
legislative o norme assimilabili a queste, le decisioni giurisprudenziali sotto
il più ampio spettro, gli usi e tutto quanto, dell’orizzonte precomprensivo
interno poteva e può avere una rilevanza giuridica. Ad ogni modo, almeno sino a
qualche tempo fa, in via pressoché esclusiva l’interprete giudiziale, nel
pervenire alla sua valutazione giudiziale conclusiva, si atteneva,
specificamente in caso di dubbio, ad una ponderazione dei principi di rilievo
costituzionale interno, o, qualora non rinvenisse alcuna disposizione
riconducibile alla questione da esaminare, si rifaceva sempre a principi e
norme di rilevo costituzionale interno, e costantemente l’applicatio del giudice
era caratterizzata, pressoché esclusivamente, dal riferimento, esplicito e/o
implicito, all’autorevolezza dei principi costituzionali interni.
Stiamo evidentemente
facendo riferimento ad assunti per lo più propri del costituzionalismo
interpretativo e del neocostituzionalismo interpretativo,
vaste correnti della teoria dell’interpretazione giuridica contemporanea[2].
Anche se, per essere più precisi, per molti esponenti del costituzionalismo e
del neocostituzionalismo in genere, il rifarsi dell’interprete
giudiziale in via pressoché esclusiva ai principi ed alle
norme costituzionali nella sua opera interpretativa, ha una valenza
tuttora esclusiva, e non posta in seria discussione, sul piano
dell’esclusività, dall’accentuarsi dei fenomeni evolutivi delle fonti
giuridiche di cui si diceva prima (per quanto pure agli esponenti
del costituzionalismo e del neocostituzionalismo non
sfugga l’esistenza dei detti fenomeni evolutivi delle fonti giuridiche).
Poi, in estrema sintesi ed in linea generale, per i costituzionalisti ed
i neocostituzionalisti la validità di una norma giudiziale, di
un decisumtrova la sua legittimazione ultima, il
suo fondamento argomentativo ultimo, ed infine la sua validità sostanziale, solamente nella Costituzione dello
stato, ovvero in principi e diritti fondamentali che esplicitamente e/o
implicitamente vengono affermati nella Costituzione, non in fonti
ulteriori. Così l’interpretazione costituzionale è una sorta di
macchina continuamente in funzione[3],
che agisce anche quando l’interprete non debba giudicare esplicitamente la
conformità e congruità di una norma con la Costituzione.
In questa maniera si
ha una costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico, un
processo di trasformazione dell’ordinamento, mediante l’attività
interpretativa, al termine del quale questo risulta totalmente impregnato da
principi e norme costituzionali dello stato[4];
e, dunque, l’attività interpretativa si viene a connettere necessariamente ed
esclusivamente con la Costituzione dello stato, ovvero con i principi
e le norme da questa affermati esplicitamente e/o implicitamente[5].
Comunque, al di là dell’ideologia e della politica del diritto –
per utilizzare un linguaggio tarelliano – che pone la Costituzione al vertice e
al fondamento, in via esclusiva, dell’attività interpretativa giudiziale, al di
là della estrema rilevanza della fonte costituzionale, quale fonte argomentativa ampiamente
spesso decisiva, in via esplicita, e/o per lo più implicita, rilevanza
riscontrabile in molti giudizi, è, d’altra parte, riscontrabile, e viene
riscontrato dagli stessi studiosi del diritto costituzionale, come la
Costituzione, quale fonte argomentativa superiore, esclusiva e
fondamentale del ragionamento giudiziale, non sia più da ritenersi tale,
oppure, la sua superiorità ed esclusività è nel periodo attuale fortemente
ridimensionata, o comunque, ridimensionata[6].
Così, cerchiamo di
schematizzare i motivi essenziali, ovvero i principali fenomeni che stanno alla
base dell’indebolimento strutturale dell’autorevolezza
della fonte argomentativa costituzionale interna, soprattutto
rispetto ad altre fonti argomentative la cui rilevanza sta assumendo
progressivamente sempre maggiore importanza nel periodo attuale. Tali fenomeni
sono soprattutto quelli che andiamo ad indicare qui di seguito.
Il supercostituzionalismo,
la sovracostituzione internazionale, ovvero il costituzionalismo
multilivello; l’ordinamento sovranazionale dell’Unione Europea;
la giurisprudenzasovranazionale ed internazionale;
il diritto internazionale espresso nei trattati;
il dirittotransnazionale, dove agiscono attori pubblici e privati,
oltre allo stato.
Con supercostituzionalismo,
ovvero con costituzionalismo multilivello, intendiamo
soprattutto la stesura e l’entrata in vigore di documenti giuridici
sovranazionali, dove si cerca di riportare i principi e le norme fondamentali a
cui i vari stati che aderiscono a quei documenti si richiamano a loro volta,
con le loro costituzioni ed i loro ordinamenti. E fra questi documenti, a
titolo esemplificativo, si può certamente citare la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, emanata nel 2000, detta anche Carta di Nizza,
ed il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. In questo modo, da un
lato si avvererebbe secondo taluni una sorta di costituzionalizzazione dell’Europa,
per cui il costituzionalismo in questo modo si rafforzerebbe; mentre, secondo
altri – ed è una linea di pensiero che condividiamo – l’aderire alle Carte
sovranazionali comporta l’aderire a principi e norme fondamentali esterni e diversi,
per quanto per lo più congruenti con i principi e le norme fondamentali interne,
e questo non farebbe che indebolire l’applicazione giudiziale dei
principi e delle norme costituzionali interne[7].
Poi, va considerato l’ordinamento dell’Unione Europea, dove particolare
rilevanza assumono i regolamenti, disposizioni normative
direttamente applicabili anche nell’ordinamento interno. E, oltre a
questi fonti, peculiare rilevanza vengono ad assumere per il giudice-interprete
i giudicati del Tribunale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
(secondo grado di giurisdizione rispetto al Tribunale) e di altri organi
giurisdizionali, i quali hanno essenzialmente il compito di garantire
l'osservanza dei trattati fondativi dell'Unione europea. E assumono altresì
rilevanza i giudicati della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la
quale, nata da fonte pattizia di diritto internazionale, una Convenzione del
1950, progressivamente è divenuta sostanzialmente una fonte sovranazionale
(aderendo a tale Convenzione dal 2004 anche l’Unione Europea) particolarmente
autorevole ed utilizzata nell’interpretazione giudiziale. E comunque, di
fatto, i giudicati degli organi giurisdizionali esterni sopra citati vengono
ad interagire e modificare anche principi e norme fondamentali interne, facendo
in modo che ordinamenti esterni vengano ad interagire e a
modificare l’ordinamento interno. E nell’attività di modificazione
dall’esterno dell’ordinamento interno intervengono, ovviamente, pure il diritto
pattizio, espresso nei trattati internazionali, anche altri trattati oltre alla
Convenzione a cui fa riferimento la CEDU, nonché il diritto transnazionale,
dove agiscono attori pubblici e privati, oltre allo stato, il cosiddetto soft law (diritto
morbido) e, all’interno di questo, la nuova lex mercatoria[8].
Dunque, l’accentuarsi
della presenza di nuove fonti esterne rispetto alla
Costituzione e all’ordinamento dello stato, l’accentuarsi della
produzione esterna di nuovi principi e norme, la reciproca
influenza che esercitano fra loro ordinamenti esterni ed
ordinamento interno comportano la codeterminazione dei
principi fondamentali e delle norme dei diversi ordinamenti, gli ordinamenti
esterni e l’ordinamento interno, si ha una codeterminazione degli ordinamenti[9].
Di qui la Costituzione (da intendersi in senso allargato, sia
la Costituzione formale che quella materiale, sia quei principi e norme
fondamentali, espliciti ed impliciti, relativi all’ordinamento tali per cui
senza di questi la Costituzione non esisterebbe nello stesso modo in cui
esiste), non riesce più ad essere più ad essere l’esclusivo punto di
riferimento della congruenza interpretativa, la quale
interessa la produzione di nuove norme e soprattutto delimitava e condizionava
decisamente ed in modo continuativo (anche in via implicita) il lavoro
interpretativo dei giudici. Ora, la Costituzione rimane un punto
di riferimento massimamente autorevole e decisivo per l’interprete giudiziale,
ma non è più l’unico puntomassimamente autorevole, ve ne sono anche
altri, di cui abbiamo detto. Così, si una nebulizzazione delle
fonti argomentative a cui l’interprete si può volgere[10],
si assiste ad un tramonto dei costituzionalismi e, di fatto,
l’interprete giudiziale nel volgersi al suo orizzonte precomprensivo trova
attorno a sé una molteplicità di ordinamenti compositi, dove non è più così
certo quali fra questi ordinamenti sia più presuntivamente[11]autorevole rispetto
agli altri.
3. L’OPERA INTERPRETATIVA DEL GIUDICE RIFERITA ALLA NUOVA RILEVANZA DEGLI
ORDINAMENTE ESTERNI E DEL
MULTICULTURALISMO
In questo nuovo
contesto di nuove fonti argomentative massimamente autorevoli e nuovi
ordinamenti – esterni rispetto all’ordinamento nazionale di
appartenenza – ai quali il giudice interprete può far riferimento, l’orizzonte
precomprensivo del giudice si allarga di molto, e la ponderazione
della sua scelta, quale fra gli ordinamenti da prendere in considerazione per
la risoluzione del caso concreto sia maggiormente rilevante e decisivo per la
scelta interpretativa da fare, diventa decisamente più difficoltosa rispetto al
passato e si accresce di molto la sua responsabilitàermeneutica[12].
Precedentemente, infatti, l’interprete giudiziale si rapportava ad un orizzonte precomprensivo pressoché unitario,
dove i principi costituzionali interni erano pressoché gli
unici astri di riferimento, ineludibili e caratterizzanti implicitamente e/o
esplicitamente ogni interpreazione, o necessari per dirimere questioni
controverse e pervenire ad interpretazioni costituzionalmente orientate. Ora
invece sulla sua decisione possono influire, ed influiscono, in maniera
decisamente più rilevante rispetto al passato, astri di ordinamenti esterni,
come abbiamo già rilevato. Poi, occorre anche considerare il fatto che l’opera
interpretativa del giudice italiano, almeno sino a qualche tempo fa, aveva
uno sfondo culturale pressoché uniforme,
il quale caratterizzava in maniera pregnante aspetti non strettamente
giuridici, ma intrinsecamente connessi con la sua opera interpretativa
giuridica[13].
Da qualche tempo però questo sfondo culturale pressoché uniforme,
soprattutto sulla base di fenomeni migratori insistenti sul territorio
italiano, non è più tale, lo sfondo culturaleove
attualmente opera il giudice-interprete è abbastanza uniforme, ma
viene altresì caratterizzato da culture esterne, da
culture estranee all’area dell’Unione Europea, da culture contraddistinte anche
da valori, da aspetti sociologici, religiosi, antropologici molto diversi,
aspetti alle volte radicalmente diversi, da quelli che
attengono alla cultura italiana, ed europea. Con cultura intendiamo,
soprattutto, un certo modo di vivere e comprendere la realtà[14],
ovvero, una rete di significati (web of meanings) – per
dirla con Clifford Geertz, nell’ambito dell’antropologia. La cultura risulta
allora essere un sistema semiotico, un sistema di segni dotato di
un proprio codice: chi vi appartiene sa come orientarsi nella rete perché
conosce le modalità interpretative dei segni riferiti a quella cultura ed è in
possesso del codice ermeneutico necessario per comprenderli; mentre chi
appartiene ad una cultura esterna potrebbe fraintendere del tutto certi segni
riferiti ad una determinata cultura. Di qui va data l’opportuna rilevanza alla
“traduzione culturale”, ossia alla capacità di riportare, sul piano semantico,
un comportamento, ovvero un segno, nel contesto culturale di provenienza[15].
Per quanto qui ci interessa, per cultura possiamo
intendere una rete di significati e di regole, un orizzonte di
significati e regole in cui e attraverso cui determinati soggetti vivono, un
orizzonte che accompagnerà, in qualche modo, quei soggetti anche quando si
dovessero trasferire in un altro, in un differente orizzonte culturale[16].
Dunque, venendo a
considerare la situazione italiana, da qualche tempo, progressivamente, sulla
base di rilevanti flussi migratori, l’orizzonte culturale nazionale, prima
assolutamente dominante ed esclusivo rispetto a culture altre –
intendendo con altre le culture extraeuropee
ed extraoccidentali – va ad inglobare dentro di sé gruppi appartenenti a dette
culture altre, e, pertanto, va ad inglobare pure, con i gruppi
migratori, le dette culture altre. Si tratta di situazioni
riconducibili al fenomeno del multiculturalismo, il quale di solito
comporta situazioni di interlegalità[17],
per cui, principalmente, gli appartenenti ad un determinato gruppo della
cultura altra, da un lato si rapportano alla cultura ed all’ordinamento
giuridico italiano, e, dall’altro, si attengono, con i loro comportamenti,
alla cultura ed all’ordinamento di provenienza,
esterni rispetto all’orizzonte italiano. Ora, queste situazioni
solitamente portano a rivendicazioni culturali, per cui
le culture esterne di minoranza, chiedono il riconoscimento delle
loro differenze, anche sul piano politico e giuridico. E di qui si possono
avere provvedimenti normativi, finalizzati alla conservazione dei valori della
cultura altra. Certamente non sussistono peculiari problematiche
per l’interprete giudiziale, fino a quando la cultura altra porta
a tenere comportamenti, anche decisamente anomali per l’orizzonte culturale
italiano, ma noncontrastanti con principi e norme giuridiche
italiane – infatti secondo la norma generale esclusiva, tutto ciò
che non è vietato è giuridicamente permesso[18].
Le problematiche invece vengono avvertite dagli interpreti giudiziali, allorché
i comportamenti tenuti da soggetti appartenenti ad un gruppo di una cultura
altra contrastano con principi e norme giuridiche italiane,
e/o che hanno piena validità in Italia. E, di più, tali problematiche
possiedono una specifica rilevanza allorché i soggetti ritengano, o dicano di
ritenere, che hanno tenuto certe condotte, contrastanti con
l’ordinamento giuridico italiano e inusuali per la cultura italiana, per
rispettare le norme della loro cultura di appartenenza, la cultura
altra, dove vige un ordinamento giuridico altro, congruente con
detta cultura altra.
Su queste basi si
possono concretizzare, e di fatto si sono concretizzate, condotte
illecite culturalmente motivate, ovvero condotte
riconducibili a specifici reati culturalmente motivati.
In tali circostanze viene ampiamente utilizzato, soprattutto dai legali
difensori dei soggetti ai quali viene attribuita tale tipologia di condotte, l’argomentazione
culturale, per difendere i loro assistiti. Andiamo allora ad esaminare, in
via del tutto sintetica, certi visioni interpretative dei giudici, che spesso
implicano la tentazione dell’uso, ed alle volte l’uso, di una metodica
antropologica in sede forense, al fine di rispondere all’argomentazione culturale.
Ed andiamo altresì ad esaminare le fallacie ermeneutiche in
cui possono incorrere in tale maniera gli interpreti giudiziali.
4. INTERPRETAZIONE GIUDIZIALE E METODOLOGIA ANTROPOLOGICA
Occorre preliminarmente
segnalare che i contenziosi giudiziali italiani in cui viene utilizzato dai
giudici, su istanza degli avvocati, l’argomentazione culturale,
l’argomentazione della cultura altra rispetto alla nostra[19],
non sono numerosissimi[20].
Eppure tale fenomeno, anche se per ora alquanto circoscritto, ha destato una
certa attenzione nella dottrina[21],
sia per la novità che l’uso dell’argomentazione culturale in
ambito giudiziale rappresenta , sia perché si può prevedere – visto
l’incrementarsi progressivo del numero dei soggetti appartenenti a culture
altre sul nostro territorio – che le vicende dell’uso dell’argomentazione
culturale in ambito giudiziale non si fermerà, anzi è possibile che si
incrementi ulteriormente. Detto questo passiamo a riportare, in via del tutto
sommaria, le ratiodecidendi culturali, relative a due
vicende giudiziarie.
Vicenda 1. Un soggetto
viene sottoposto ad un procedimento penale in quanto detentore di sostanza
stupefacente in notevole quantità, una quantità
di moltoeccedente il cosiddetto uso solamente
personale della sostanza (e dunque il soggetto, per ciò stesso,
diviene penalmente perseguibile). A difesa del soggetto si utilizza l’argomentazione culturale,
sostenendo che sulla base della religione di cui il soggetto è praticante, la
religione rastafariana, per certi versi distante dalle nostre tradizioni
culturali-religiose, l’uso quotidiano della sostanza stupefacente,
definita erba sacra, è suggerito, sino a 10 grammi al
giorno.
Ratio decidendi culturale relativa
alla vicenda. La Cassazione penale (IV sez., n. 923/2008) annulla con rinvio un
precedente giudizio sull’imputato, perché, in forza della documentazione
prodotta, “anche considerando la religione di cui l’imputato si è dichiarato
praticante” la sua condotta può essere giustificata e invita
pertanto il giudice di appello, sulla base delle considerazioni effettuate,
sulla base del parametro ermeneutico fissato, a riconsiderare la condotta
dell’imputato, il fatto per quale l’imputato è stato sottoposto a giudizio.
Vicenda 2. Un indiano,
professante la religione sikh, in ossequio ai dettami del suo credo,
porta in luogo pubblico un pugnale rituale, la cui lama è di circa
10 cm. Si tratta di un oggetto potenzialmente offensivo; dunque, sulla scorta
dell’art. 4 della L. n. 110/1975, che fa divieto di portare armi ed oggetti
atti ad offendere, il soggetto viene sottoposto a processo penale.
Ratio decidendi culturale relativa
alla vicenda. Il tribunale di Cremona, con una sentenza del 19.2.2009,
essenzialmente ritiene che la motivazione religioso-culturale, previa
consultazione di documentazione attestante l’obbligo religioso per
il sikh di portare il kirpan, il coltello rituale, sia idonea
a giustificare la condotta dell’imputato, il quale viene
pertanto assolto. Il giudice richiama poi, sul piano dei principi e delle norme
che sottendono l’esercizio del diritto a portare tale arma rituale,
l’art. 19 della Costituzione italiana, nonché l’art. 18 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948, sia dall’art. 9 della
legge 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica della Convenzione per la Salvaguardia
dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, disposizioni tese a
tutelare la libertà del soggetto, ed in particolare la sua libertà religiosa.
Inoltre il giudice richiama una pronuncia della Corte Suprema canadese, del
2.3.2006, con la quale si legittima l’utilizzo del kirpan, per
scopi simbolici, culturali-religiosi, addirittura all’interno degli edifici
scolastici, pronuncia che si rifà ai valori del multiculturalismo.
Rifacendoci
soprattutto a queste due esemplificazioni di utilizzo dell’argomentazione
culturale in ambito giudiziale – utilizzo che fa del giudice una sorta
di antropologo – passiamo ad esporre alcune brevi
considerazioni su tale nuovo fenomeno riguardante l’interpretazione giudiziale.
La cultura
altra dalla nostra può anche divenire un’argomentazione particolarmente
efficace per escludere la punibilità di certe condotte, ovvero, la
cultura altra può divenire una causa di giustificazione in
ambito penale: l’esercizio del diritto di porre in essere
certe condotte, illegali, se poste in essere da un cittadino
italiano e/o europeo, legali, se poste in essere da un soggetto che
si rifà ad una cultura altra, ritenuta meritevole di tutela[22].
Ma quando e perché una cultura altra diviene meritevole di
tutela?
Innanzitutto occorre
rimarcare il fatto che si sta parlando di cultura in
un’accezione antropologica, cultura come rete semantica e regolativa originaria
e specifica di un determinato popolo e/o di un determinato gruppo. Nel
nostro paese la cultura, in tale accezione, ha avuto almeno un
parziale riconoscimento di diritti, nei confronti di minoranze da tempi remoti
presenti sul territorio italiano[23].
Ma tale riconoscimento – basato principalmente sull’art. 6 Cost. – è stato
volto soprattutto a garantire diritti culturali, per
esempio diritti a fruire di tipologie di istruzione differenziata, a minoranze
contraddistinte da culture omogenee con quella
italiana e non decisamente confliggenti con la medesima cultura
italiana; di qui non si è sostanzialmente mai ricorso a cause di
giustificazione culturali in materia penale. Comunque, il riferimento, per
quanto debole, dell’argomentazione culturale al principio della
protezione delle minoranze esiste. Ed esiste pure il riferimento dell’argomentazione culturale al
diritto di aderire liberamente a qualsiasi religione ed ai suoi riti, purché
non contrastanti con il buon costume interno (si vedano artt.
8 e 19 Cost.), per cui la cultura viene vista pure, in determinati casi
giudiziali, simili a quelli sopra esposti, come religione. Inoltre
l’argomentazione culturale si fonda anche, certamente, su disposizioni
sovranazionali, che prescrivono di rispettare le differenzeculturali (si
veda, a titolo esemplificativo, l’art. 27 del Patto internazionale
relativo ai diritti civili e politici, sottoscritto anche dall’Italia nel
1966 ed entrato in vigore, per quanto attiene allo stato italiano nel 1978[24]).
Ad ogni modo, l’argomentazione culturale fa
il suo ingresso nelle questioni ermeneutiche giudiziali su istanza della difesa
del soggetto coinvolto nel caso specifico, E, in via implicita o esplicita,
l’argomentazione culturale, a cui si richiama la parte, argomentazione che poi
il giudice alle volte riconosce, come nelle vicende sopra esposte, si fonda su
un potenziale riequilibrio delle differenze; cioè, l’argomentazioneculturale è
fondata sul pensiero della differenza[25] e
sul compito, mai terminato, di trattare in modo diseguale i
soggetti al fine di renderli uguali di fronte alla legge, ovvero dare a tutti i
medesimi diritti, trattando i soggetti diversi con modalità diverse.
E, più specificamente,
come fa l’argomentazione culturale ad entrare nel
procedimento; vi sono dei criteri intersoggettivi,
insiti nella precomprensione del giudice, a cui fare riferimento
per una adeguata valutazione dell’argomentazione culturale?
L’argomentazione
culturale, nei due casi sopra esposti, ma sostanzialmente in tutti i casi
sinora trattati dagli organi giurisdizionali italiani, entra principalmente
mediante documentazione presentata dalla parte sottoposta al procedimento,
ovvero dal suo legale[26].
Ed è a questo punto che l’interprete giudiziale si improvvisa, se
ritiene di utilizzare l’argomentazione antropologica-culturale, antropologo.
L’improvvisazione nasce dall’ovvietà che solitamente i giudici italiani non
hanno una conoscenza accurata della cultura altra del
soggetto sottoposto a procedimento. Inoltre, anche il fruire di una eventuale
consulenza di un esperto antropologo risulta, di fatto, almeno in parte,
problematico per questioni pratiche e relative alla materia stessa[27].
Di modo che il giudice nella sua veste di peritus peritorum assume
su di sé la responsabilità ed il compito di farsi antropologo culturale.
E a questo punto, verosimilmente, si produce, in via implicita, da parte
dell’interprete giudiziale, un’argomentazione fallace: si afferma che una certa
prescrizione della cultura altracostituisce per un determinato
soggetto un obbligo, sentito come dovere morale e anche giuridico, e
non si può dare prova contraria di ciò. Si tratta, dal punto di vista
logico, di una fallacia ad ignorantiam. Infatti, solitamente, il
giudice non potendo provare con certezza l’esistenza per il soggetto di una
certa consuetudine culturale, allora, implicitamente,
tende a persuadere dell’esistenza di detta consuetudine fondandosi sul fatto
che provarne il contrario, per le altre parti processuali, diventa estremamente
arduo. Ma il fatto che non si possa dare prova contraria, relativamente
all’esistenza di un fenomeno, non significa che questo sia reale, sia vero[28].
Poi, questo atteggiamento ermeneutico, non fondato su una salda precomprensioneintersoggettiva,
comporta che potenzialmente ogni parte del procedimento di cultura
altra, conoscendo il proprio diritto, diventi per ciò stesso giudice
di se stessa; cosicché si viene a stravolgere il principio iura
novit curia, il quale diventa, omnia novit curia[29].
Inoltre, la detta modalità improvvisata del giudice di farsi antropologo
culturale, comporta lo sfociare del ragionamento giudiziale in una sorta
di panculturalismo, ovvero una fallacia panculturalista,
dove non si riesce più a distinguere, per quel che attiene all’orizzonte
altro, rispettivamente: quel che è culturale in senso
lato, e dunque prescrittivo solo in senso lato, quel che è regola sociale,
quel che è consuetudine, in un’accezione giuridica, quel che
è principio e/o norma giuridici[30].
E va ancora
considerato che, nella situazione attuale, dove sta avvenendo il
tramonto dei costituzionalismi, dove è avvenuta e sta avvenendo una
progressiva moltiplicazionedegli ordinamenti giuridici imprescindibili per
l’interprete ed una sostanziale nebulizzazione delle fonti
argomentative (si veda sopra, parr. 2 e 3) l’ingresso dell’argomentazione
culturale e dell’antropologia improvvisata nei giudizi,
rappresenta una modalità rapsodica, contrassegnata da incongruenze ed
arbitrarietà, per iniziare ad introdurre nella giurisprudenza, e dunque negli
ordinamenti giuridici già presenti e connotati da valori consolidati, ordinamenti estranei alla
nostra cultura e, soprattutto, ordinamenti, per certi versi, connotati da
valori nettamente confliggenti con quei valori sui quali gli ordinamenti
italiano ed europei sono stati costruiti. E in particolare, questa importazione di
valori e ordinamenti estranei avviene mediante precomprensionisoggettive,
improvvisate e pertanto verosimilmente affette da ignoranza, degli interpreti
giudiziali, e sicuramente non attraverso precomprensioni intersoggetive,
che sono le uniche categorie ermeneutiche potenzialmente idonee a fondare il
ragionamento giudiziale e a giustificare adeguatamente il decisum[31].
Le situazioni descritte, dove il giudice cede alla tentazione di farsi antropologo,
mostrano con notevole nitidezza che la precomprensione giuridica,
per essere tale, non può che essere intersoggettiva, quale garanzia
di un corretto svolgersi del circolo ermeneutico giudizialee per
assicurare l’isonomia, ovvero la tendenziale parità di trattamento
rivolta ai consociati. Qualora non si instauri questa intersoggettività, basata
su valori condivisi, fondamenta del nostro ordinamento giuridico, ovvero dei
nostri ordinamenti giuridici, si apre la strada alla babele dei diritti,
ed alla tendenziale disparità di trattamento. Cosicché, per esempio, può
divenire un diritto portare un’arma in luogo pubblico, se un
soggetto si possa ritenere appartenente ad un determinato credo e ad una
determinata cultura altra; cosicché può divenire un diritto,
detenere notevoli quantità di sostanze stupefacenti, se un soggetto si possa
ritenere appartenente ad un determinato credo e ad una determinata cultura
altra; mentre alla generalità dei soggetti tali “diritti” sono negati.
(Altalex, 11 maggio
2016. Articolo di Germano Rossini)
_____________
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Azzariti Gaetano,
Dellavalle Sergio, 2014, Crisi del costituzionalismo e
ordine giuridico sovranazionale. Edizioni Scientifiche italiane, Napoli.
Barbera Augusto (a
cura di), 2003, Le basi filosofiche del costituzionalismo. Laterza,
Roma.
Basile Fabio,
2010, Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale
nelle società multiculturali. Giuffrè, Milano.
Bernardi Alessandro,
2010, Il “fattore culturale” nel sistema penale. Giappichelli,
Torino.
Berti Giorgio,
2006, «Diffusione della normatività e
nuovo disordine delle fonti del diritto». In L’autonomia privata e le
autorità indipendenti, a cura di Gregorio Gitti, 24-42. il Mulino, Bologna.
Bobbio Norberto,
1960, Teoria dell’ordinamento giuridico. Giappichelli,
Torino.
Copi Irving Marmer,
1964, Introduzione alla logica. il Mulino, Bologna.
De Maglie Cristina,
2010, I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali.
Edizioni ETS, Pisa.
de Sousa Santos Bonaventura,
1987, « Law: A Map of Misreading.
Toward a Postmodern Conception of Law». Journal
of Law and Society, 14: 279-302.
Emanuele Pier Paolo,
2011, I reati culturalmente motivati tra personalizzazione della
responsabilità penale e tutela delle vittime, www.neldiritto.it/appdottrina.asp?id=6042.
Geertz Clifford,
1973, The Interpretation of Cultures: Selected Essays. Basic Books,
New York.
González Díez Javier,
Vargas Ana Cristina, 2010, «Diritti
umani e differenza culturale». In Questioni di confine. I diritti umani
oggi fra antropologia, diritto e politica, a cura di Stefano Pratesi
Stefano. Nuova Cultura, Roma.
Guastini Riccardo,
1990, « La costituzionalizzazione dell’ordinamento
italiano». Ragion pratica,
11: 185-206.
Nicolini Matteo,
Palermo Francesco, 2014, «La
semantica delle differenze e le regole diseguali: dall’egualitarismo nel
diritto all’eccezione culturale».
In Studi inonore di Maurizio Pedrazza Gorlero, vol. I, I
diritti fondamentali fra concetti e tutele, 513-549. Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli.
Omaggio Vincenzo,
2003, Teorie dell’interpretazione. Giuspositivismo,
ermeneutica giuridica, neocostituzionalismo. Editoriale Scientifica,
Napoli.
Pattaro Enrico,
2002, Rivisitazione di luoghi classici del
pensiero giuridico. Lezioni per l’anno accademico 2002-2003. Grdit,
Bologna.
Poulter Sebastian,
1986, English Law and Ethnic Minority Customs. Butterworth, London.
Rossini Germano,
2005, L’ermeneutica giuridica di Gadamer. Un confronto con Betti e la
filosofia analitica italiana. Gedit, Bologna.
Ruggiu Ilenia,
2012, Il giudice antropologo. Costituzione e tecniche di composizione
dei conflitti multiculturali. FrancoAngeli, Milano.
Id., 2015, Dis-eguaglianza
e identità culturale: tolleranza e multiculturalismo. www.gruppodipisa.it/wp-content/.../Ruggiu_Diseguaglianza-culturale.pd
Vattimo Gianni, 1994,
Oltre l’interpretazione. Laterza, Roma.
Villa Vittorio,
2012, Una teoria pragmaticamente orientata dell’interpretazione
giuridica. Giappichelli, Torino.
Viola Francesco,
Zaccaria Giuseppe, 2003, Le ragioni del diritto. il Mulino,
Bologna.
Id., 1999, Diritto
e interpretazione: lineamenti di teoria ermeneutica del diritto. Laterza,
Roma.
Young Iris Marion,
1996, Le politiche della differenza. Feltrinelli,
Milano.
Zaccaria Giuseppe,
2012, La comprensione del diritto. Laterza, Roma.
Zagrebelsky Gustavo,
1992, Il diritto mite. Einaudi, Torino.
[1] Sulla prospettiva ermeneutica cfr. fra gli altri: F. Viola, G. Zaccaria, 1999; G. Rossini, 2005,
29 ss.
[2] Con il termine costituzionalismo interpretativo intendiamo riferirci agli aspetti prettamente interpretativi del costituzionalismo; mentre con neocostituzionalismo interpretativo intendiamo riferirci alla corrente giusfilosofica del neocostituzionalismo, per quanto attiene alla riflessione sull’interpretazione giuridica operata dalla detta corrente. Notoriamente con costituzionalismo si intende quel vastissimo movimento politico, filosofico e culturale dell’Occidente, il quale ha portato, mediante le democrazie, all’instaurazione degli stati costituzionali di diritto, con l’entrata in vigore delle costituzioni. Ed in queste si riflettono giuridicamente i valori di una certa comunità e di un certo orizzonte culturale; ed ovviamente ciò vale anche per l’Italia. (Sul costituzionalismo la letteratura critica non può che essere sterminata: a mero titolo esemplificativo ed introduttivo, cfr. A. Barbera, 2003; G. Zagrebelsky, 1992, 39 ss.) Di qui, sul piano esegetico, mediante l’utilizzo di procedure appropriate e l’utilizzo di diverse metodiche ermeneutiche, si è attuata e si attua attraverso la Costituzione un continuo rimodellamento dell’intero ordinamento (cfr. F. Viola, G. Zaccaria, 2003, 170). Mentre il neocostituzionalismo interpretativo, sulla medesima lunghezza d’onda del costituzionalismo, detto in termini del tutto sommari, pone l’accento sul fatto che esiste una connessione necessaria fra diritto e valori etici di una comunità, connessione attuata nei valori costituzionali; i valori etici si traducono così in principi giuridici, i quali hanno una supremazia esegetica sulle norme, da cui si distinguono strutturalmente. Cfr. V. Omaggio, 2003, 91 ss.; G. Zagrebelsky, 1992, 147 ss.
[3] Cfr. V. Villa, 2012, 9.
[4] Cfr, R. Guastini, 1990, 185.
[5] Cfr. V. Villa, 2012, 7 ss.
[6] Cfr., fra gli altri, G. Azzariti, S. Dellavalle, 2014.
[7] Cfr. ivi, 31 ss.
[8] Su queste tematiche cfr. fra i tanti: M.R. Ferrarese, 2005; 2006; G. Zaccaria, 2012, 26-28.
[9] Cfr. ivi, 20, 25.
[10] Cfr. G. Berti, 2006, 32.
[11] Secondo la prospettiva ermeneutica una gerarchia formale che guidi necessariamente l’interpretatio del giudice non esiste, e non è mai esistita neppure prima del tramonto dei costituzionalismi. La gerarchia formale delle fonti argomentative viene vista solo come presunta sul piano gerarchico. Quel che conta per l’interprete giudiziale è essenzialmente la gerarchia sostanziale delle fonti, nonché il criterio della competenza delle fonti, che si viene a costituire mediante l’esame e la risoluzione del caso concreto. Cfr. G. Zaccaria, 2012, XI, 25-26; F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 351.
[12] Cfr. G. Zaccaria, 2012, 26.
[13] Sulla rilevanza degli aspetti culturali, o extragiuridici, nell’interpretazione giudiziale cfr., fra gli altri: F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 145 ss., 450 ss.
[14] Cfr. G. Vattimo, 1994, 113-114.
[15] Cfr, C. Geertz, 1973, 11.
[16] Ovviamente le definizioni di cultura ed i modi di intenderla da parte dei vari esponenti delle scienze umane in genere sono davvero tantissimi e la letteratura in materia è sterminata; tuttavia, per le nostre finalità, riteniamo siano sufficienti le definizioni date sopra.
[17] Cfr. B. de Sousa Santos, 1987, 298.
[18] Nell’ordinamento italiano, similmente alla generalità degli ordinamenti, vige, seppur non espressamente codificata, o non codificata nella maniera che segue, la norma generale esclusiva, secondo la quale tutto ciò che non è vietato è permesso, ovvero, è legittimo porre in essere qualsiasi condotta (anche omissiva) che non sia vietata da norme giuridiche. Sulla norma generale esclusiva e sulle varie problematiche che questa norma sottende cfr. fra gli altri: N. Bobbio, 1960, 152-157; E. Pattaro, 2002, 103-105. Comunque, in sede penale, una trascrizione di tale norma teorica si ha nell’articolo 1 del Codice Penale, “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.
[19] L’argomentazione culturale è stata primariamente utilizzata, dagli anni 70 in poi, dalla giurisprudenza penalistica inglese, con la denominazione cultural defence. Cfr., fra i tanti, S. Poulter, 1986.
[20] Per una sommaria rassegna dei casi giudiziali italiani nei quali è stata utilizzata l’argomentazione culturale cfr. I. Ruggiu, 2015; P.P. Emanuele 2011.
[21] Cfr. principalmente: C. De Maglie, 2010; A. Bernardi, 2010; F. Basile, 2010; M. Nicolini, F. Palermo, 2014, 513-549; I. Ruggiu, 2012; 2015.
[22] Occorre comunque segnalare che la giurisprudenza italiana ha anche espresso un orientamento tradizionale e implicitamente consolidato (visto che da tempi alquanto recenti l’argomentazione culturale è stata utilizzata nei procedimenti) teso a non riconoscere alcuna rilevanza giuridica all’argomentazione culturale, se intesa quale causa di giustificazione di una condotta contra legem. Si vedano fra le altre le seguenti sentenze: 2841/2007 Cass. Pen. III sez.; 6587/2010 Cass. Pen. I sez.; 45516/2008 Cass. pen. IV sez.: è “necessario prestare attenzione alle situazioni reali al fine di non criminalizzare condotte che rientrino nella tradizione culturale di un popolo […] fermo restando, però, che se determinate pratiche, magari anche consuetudinarie e tradizionali, mettano a rischio diritti fondamentali dell‟individuo garantiti dalla nostra Costituzione o confliggano con norme penali che proprio tali diritti cercano di tutelare, la repressione penale è inevitabile. È fin troppo evidente, infatti che consuetudini contrarie all’ordinamento penale non possano essere consentite”. E, d’altra parte, è pure presente nella giurisprudenza italiana un orientamento teso a vedere nella motivazione culturale, posta alla base di una condotta, una sorta di aggravante, culturale appunto, tale per cui una certa condotta contra legem, culturalmente motivata, implica che questa debba essere giudicata con una peculiare severità dall’interprete giudiziale. Tanto “più le condizioni di vita individuale, familiare, sociale rispecchiano un sistema di regole antitetiche a quelle cui si ispira la tutela penale, tanto più deve essere severa la sanzione”. Sent. GUP di Bologna del 16.11.2006.
[23] Si sta facendo evidentemente riferimento alle minoranze linguistiche ed etniche presenti da diverso tempo sull’attuale territorio italiano: la minoranza francofona, presente in Val d’Aosta, quella germanofona in Trentino-Alto Adige, quella slovena in Friuli-Venezia Giulia, quella ladina nelle zone dolomitiche. Inoltre vi sono minoranze più esigue di ascendenza catalana, greca e albanese situate in altri territori della Penisola. Tali minoranze sono state e sono tutelate soprattutto sulla base dell’art. 6 della Costituzione e della legge 482/1999.
[24] Art. 27: “In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.
[25] Sul pensiero della differenza cfr. fra gli altri: Young I.M., 1966; González Díez J., Vargas A.C., 2010, 71-109.
[26] Cfr. I. Ruggiu, 2012, 67.
[27] Non esiste un albo degli antropologi, accreditati presso gli organi giurisdizionali e la materia è interessata da varie divergenze teoriche, relativamente alla considerazione data ad una serie di usi e costumi relativi alle culture altre. Cfr. I. Ruggiu, 2015, 19. Ad ogni modo va anche precisato che la nomina di un consulente non iscritto ad un apposito albo non produce nullità né della nomina, né della consulenza data nell’ambito di un procedimento dal soggetto esperto in una determinata materia. Cfr. sent. Cass. pen. 2211 del 23.11.2005.
[28] Sulla fallacia di ignoranza cfr., fra gli altri, I. M. Copi, 1964, 73.
[29] Cfr. I. Ruggiu, 2015, 20.
[30] Cfr. I. Ruggiu 2012, 66-67; 197-200.
[2] Con il termine costituzionalismo interpretativo intendiamo riferirci agli aspetti prettamente interpretativi del costituzionalismo; mentre con neocostituzionalismo interpretativo intendiamo riferirci alla corrente giusfilosofica del neocostituzionalismo, per quanto attiene alla riflessione sull’interpretazione giuridica operata dalla detta corrente. Notoriamente con costituzionalismo si intende quel vastissimo movimento politico, filosofico e culturale dell’Occidente, il quale ha portato, mediante le democrazie, all’instaurazione degli stati costituzionali di diritto, con l’entrata in vigore delle costituzioni. Ed in queste si riflettono giuridicamente i valori di una certa comunità e di un certo orizzonte culturale; ed ovviamente ciò vale anche per l’Italia. (Sul costituzionalismo la letteratura critica non può che essere sterminata: a mero titolo esemplificativo ed introduttivo, cfr. A. Barbera, 2003; G. Zagrebelsky, 1992, 39 ss.) Di qui, sul piano esegetico, mediante l’utilizzo di procedure appropriate e l’utilizzo di diverse metodiche ermeneutiche, si è attuata e si attua attraverso la Costituzione un continuo rimodellamento dell’intero ordinamento (cfr. F. Viola, G. Zaccaria, 2003, 170). Mentre il neocostituzionalismo interpretativo, sulla medesima lunghezza d’onda del costituzionalismo, detto in termini del tutto sommari, pone l’accento sul fatto che esiste una connessione necessaria fra diritto e valori etici di una comunità, connessione attuata nei valori costituzionali; i valori etici si traducono così in principi giuridici, i quali hanno una supremazia esegetica sulle norme, da cui si distinguono strutturalmente. Cfr. V. Omaggio, 2003, 91 ss.; G. Zagrebelsky, 1992, 147 ss.
[3] Cfr. V. Villa, 2012, 9.
[4] Cfr, R. Guastini, 1990, 185.
[5] Cfr. V. Villa, 2012, 7 ss.
[6] Cfr., fra gli altri, G. Azzariti, S. Dellavalle, 2014.
[7] Cfr. ivi, 31 ss.
[8] Su queste tematiche cfr. fra i tanti: M.R. Ferrarese, 2005; 2006; G. Zaccaria, 2012, 26-28.
[9] Cfr. ivi, 20, 25.
[10] Cfr. G. Berti, 2006, 32.
[11] Secondo la prospettiva ermeneutica una gerarchia formale che guidi necessariamente l’interpretatio del giudice non esiste, e non è mai esistita neppure prima del tramonto dei costituzionalismi. La gerarchia formale delle fonti argomentative viene vista solo come presunta sul piano gerarchico. Quel che conta per l’interprete giudiziale è essenzialmente la gerarchia sostanziale delle fonti, nonché il criterio della competenza delle fonti, che si viene a costituire mediante l’esame e la risoluzione del caso concreto. Cfr. G. Zaccaria, 2012, XI, 25-26; F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 351.
[12] Cfr. G. Zaccaria, 2012, 26.
[13] Sulla rilevanza degli aspetti culturali, o extragiuridici, nell’interpretazione giudiziale cfr., fra gli altri: F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 145 ss., 450 ss.
[14] Cfr. G. Vattimo, 1994, 113-114.
[15] Cfr, C. Geertz, 1973, 11.
[16] Ovviamente le definizioni di cultura ed i modi di intenderla da parte dei vari esponenti delle scienze umane in genere sono davvero tantissimi e la letteratura in materia è sterminata; tuttavia, per le nostre finalità, riteniamo siano sufficienti le definizioni date sopra.
[17] Cfr. B. de Sousa Santos, 1987, 298.
[18] Nell’ordinamento italiano, similmente alla generalità degli ordinamenti, vige, seppur non espressamente codificata, o non codificata nella maniera che segue, la norma generale esclusiva, secondo la quale tutto ciò che non è vietato è permesso, ovvero, è legittimo porre in essere qualsiasi condotta (anche omissiva) che non sia vietata da norme giuridiche. Sulla norma generale esclusiva e sulle varie problematiche che questa norma sottende cfr. fra gli altri: N. Bobbio, 1960, 152-157; E. Pattaro, 2002, 103-105. Comunque, in sede penale, una trascrizione di tale norma teorica si ha nell’articolo 1 del Codice Penale, “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.
[19] L’argomentazione culturale è stata primariamente utilizzata, dagli anni 70 in poi, dalla giurisprudenza penalistica inglese, con la denominazione cultural defence. Cfr., fra i tanti, S. Poulter, 1986.
[20] Per una sommaria rassegna dei casi giudiziali italiani nei quali è stata utilizzata l’argomentazione culturale cfr. I. Ruggiu, 2015; P.P. Emanuele 2011.
[21] Cfr. principalmente: C. De Maglie, 2010; A. Bernardi, 2010; F. Basile, 2010; M. Nicolini, F. Palermo, 2014, 513-549; I. Ruggiu, 2012; 2015.
[22] Occorre comunque segnalare che la giurisprudenza italiana ha anche espresso un orientamento tradizionale e implicitamente consolidato (visto che da tempi alquanto recenti l’argomentazione culturale è stata utilizzata nei procedimenti) teso a non riconoscere alcuna rilevanza giuridica all’argomentazione culturale, se intesa quale causa di giustificazione di una condotta contra legem. Si vedano fra le altre le seguenti sentenze: 2841/2007 Cass. Pen. III sez.; 6587/2010 Cass. Pen. I sez.; 45516/2008 Cass. pen. IV sez.: è “necessario prestare attenzione alle situazioni reali al fine di non criminalizzare condotte che rientrino nella tradizione culturale di un popolo […] fermo restando, però, che se determinate pratiche, magari anche consuetudinarie e tradizionali, mettano a rischio diritti fondamentali dell‟individuo garantiti dalla nostra Costituzione o confliggano con norme penali che proprio tali diritti cercano di tutelare, la repressione penale è inevitabile. È fin troppo evidente, infatti che consuetudini contrarie all’ordinamento penale non possano essere consentite”. E, d’altra parte, è pure presente nella giurisprudenza italiana un orientamento teso a vedere nella motivazione culturale, posta alla base di una condotta, una sorta di aggravante, culturale appunto, tale per cui una certa condotta contra legem, culturalmente motivata, implica che questa debba essere giudicata con una peculiare severità dall’interprete giudiziale. Tanto “più le condizioni di vita individuale, familiare, sociale rispecchiano un sistema di regole antitetiche a quelle cui si ispira la tutela penale, tanto più deve essere severa la sanzione”. Sent. GUP di Bologna del 16.11.2006.
[23] Si sta facendo evidentemente riferimento alle minoranze linguistiche ed etniche presenti da diverso tempo sull’attuale territorio italiano: la minoranza francofona, presente in Val d’Aosta, quella germanofona in Trentino-Alto Adige, quella slovena in Friuli-Venezia Giulia, quella ladina nelle zone dolomitiche. Inoltre vi sono minoranze più esigue di ascendenza catalana, greca e albanese situate in altri territori della Penisola. Tali minoranze sono state e sono tutelate soprattutto sulla base dell’art. 6 della Costituzione e della legge 482/1999.
[24] Art. 27: “In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.
[25] Sul pensiero della differenza cfr. fra gli altri: Young I.M., 1966; González Díez J., Vargas A.C., 2010, 71-109.
[26] Cfr. I. Ruggiu, 2012, 67.
[27] Non esiste un albo degli antropologi, accreditati presso gli organi giurisdizionali e la materia è interessata da varie divergenze teoriche, relativamente alla considerazione data ad una serie di usi e costumi relativi alle culture altre. Cfr. I. Ruggiu, 2015, 19. Ad ogni modo va anche precisato che la nomina di un consulente non iscritto ad un apposito albo non produce nullità né della nomina, né della consulenza data nell’ambito di un procedimento dal soggetto esperto in una determinata materia. Cfr. sent. Cass. pen. 2211 del 23.11.2005.
[28] Sulla fallacia di ignoranza cfr., fra gli altri, I. M. Copi, 1964, 73.
[29] Cfr. I. Ruggiu, 2015, 20.
[30] Cfr. I. Ruggiu 2012, 66-67; 197-200.
Nessun commento:
Posta un commento