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domenica 28 gennaio 2018

LIBERTÀ, RAZIONALITÀ E MORALE: È POSSIBILE LA LORO COESISTENZA?


LIBERTÀ, RAZIONALITÀ E MORALE: È POSSIBILE LA LORO COESISTENZA?

di Massimiliano Mattuzzo

La Carta dei doveri Art. 1

La Carta dei doveri


 Art. 1 Cost.  <L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.>

Da ciò emerge il dovere al lavoro e il dovere costituzionale di contribuire al progresso della società come esercizio di sovranità. 
La sovranità comporta poi responsabilità , perchè non esiste alcun  potere senza responsabilità, nello stesso modo in cui  non si può imputare responsabilità se non in virtù dell'esercizio di un potere corrispondente e proporzionato . L’esercizio della sovranità, in qualunque sua forma, implica  una responsabilità correlata al potere che essa esplicita. Ognuno di noi  deve essere consapevole della propria responsabilità nel  progetto costituzionale quale soggetto attivo della sovranità popolare. La nostra vita quotidiana è intrisa di impegni corrispondenti a  doveri, e volti alla cura e alla tutela degli effetti collettivi derivanti da ogni nostra scelta. Da ciò consegue che  ogni nostro potere decisionale produce  proporzionalmente una serie di conseguenze che si riflettono sulla collettività e determinano atti di sovranità.

The legacy of Arab-Islam in Africa

Pare di interesse affrontare il tema della <tratta arabo-islamica e l’odio per gli africani neri > mentre l'Europa discute della rotta libica e dei trafficanti di schiavi. Questo tema, nonostante i 14 secoli di tratta arabo-islamica, oggi è ancora tabù e molti neppure sanno che è praticata ancora oggi .   John Azumah – religioso e studioso di origini ghanesi, da anni residente e docente negli States – ha pubblicato un libro dal titolo che non lascia spazio a dubbi, The legacy of Arab-Islam in Africa, colmando di fatto un vuoto esistente in materia.
La tratta arabo-islamica dal sito Voci Globali

FILOSOFIA IKEA


FILOSOFIA IKEA
di Matteo Montagner



L’etica protestante e lo spirito dell’Ikea
Dietro al modello del fai-da-te si cela un’idea di vita profonda. Con radici, forse, nella religione

di Dario Ronzoni


sabato 27 gennaio 2018

Schiavitù 2.0



Il Sole 24 Ore in un articolo dal titolo "

Reintrodurre la schiavitù è o no un’opzione per la società moderna?" 

sfruttando un pò l'ironia un pò il paradosso ci mette di fronte all'interrogativo della schiavitù quale opzione per la società moderna.
Quali sono gli argomenti usati? In primo luogo il cambiamento del rapporto uomo.lavoro: crescente pressione sociale, una politica aziendale strutturata nell’esternalizzare tutto il possibile  e una veloce digitalizzazione nell’industria a svantaggio della forza lavoro umana. Su tali considerazioni nasce l'interrogativo di considerare l’opportunità economica di reintrodurre tale soluzione contrattuale nell’economia moderna.
Nel virtuoso percorso di emancipazione dell’individuo dall’azienda- sostiene l'Autore - vengono cancellati tutti i benefici che un contratto garantiva e ci chiede: "perché, quindi, non si può valutare, nei programmi politici delle incombenti elezioni, una proposta di legge per re-instaurare l’istituto della schiavitù?"
Vi siete incuriositi?  L'articolo è qui

Reintrodurre la schiavitù è o no un’opzione per la società moderna?

Religioni e democrazia, confronto tra Paolo Flores d'Arcais e Tariq Ramadan



Religioni e democrazia, confronto tra Paolo Flores d'Arcais e Tariq Ramadan




Essere o non essere intolleranti con gli intolleranti?


Essere o non essere intolleranti con gli intolleranti?

di Dario Berti

venerdì 26 gennaio 2018

Norberto Bobbio estratto da: DESTRA E SINISTRA Ragioni e significati di una distinzione politica

Norberto Bobbio estratto da: DESTRA E SINISTRA Ragioni e significati di una distinzione politica

L'Illuminismo di oggi

L'Illuminismo di oggi

di Luca Serafini

AGNES HELLER: LA JIHAD È UN NUOVO TOTALITARISMO, LA SUA IDEOLOGIA IL TERRORE. E’ NECESSARIO COINVOLGERE LA RUSSIA

AGNES HELLER: LA JIHAD È UN NUOVO TOTALITARISMO, LA SUA IDEOLOGIA IL TERRORE. E’ NECESSARIO COINVOLGERE LA RUSSIA

di Benedetta Tobagi

L’immigrazione e l’espansione della religione islamica in Europa. Una prospettiva in chiaroscuro per molti Stati europei

L’immigrazione e l’espansione della religione islamica in Europa. Una prospettiva in chiaroscuro per molti Stati europei

di Barbara Contini

Il tramonto dei costituzionalismi e la tentazione del giudizio antropologico





di Germano Rossini

Nell’attuale periodo storico stiamo assistendo al tramonto del costituzionalismo, nella versione classica e nella nuova versione denominata neo-costituzionalismo. In particolare noi non abbiamo più un unico ordinamento giuridico di riferimento, ma molteplici ordinamenti. Pertanto l’opera ermeneutica del giudice diviene sempre più impegnativa e difficoltosa, se rapportata al passato. In questa situazione noi incontriamo anche un nuovo fenomeno che interessa l’interprete del diritto. Le nuove migrazioni portano con sé in Italia culture molto differenti rispetto alla cultura italiana ed alla cultura dell’Occidente. I soggetti che non appartengono alla nostra cultura tradizionale potrebbero non comprendere le nostre norme giuridiche, così alcuni giudici in alcuni casi hanno utilizzato l’argomentazione culturale, soprattutto per giustificare condotte dei soggetti stranieri conformi alla loro cultura e alle loro norme giuridiche, ma configgenti con le nostre norme giuridiche e la nostra cultura. In quei casi nei quali i giudici hanno usato l’argomentazione culturale gli stessi giudici diventano una sorta di antropologi. Un forte rischio in questa situazione è avere decisioni giudiziali viziate da soggettivismo e improvvisazione, decisioni che causano discriminazioni per la generalità delle persone che devono attenersi ai principi ed alle norme del nostro diritto.
1. PREMESSA
In questo contributo, utilizzando come punto di riferimento teorico principale le categorie e gli strumenti concettuali della prospettiva ermeneutica di derivazione gadameriana[1], andremo ad analizzare, in modo del tutto sommario, due fenomeni che nella fase storica attuale, in diversi modi, interessano l’opera dell’interprete giudiziale: l’uno è un macrofenomeno, il tramonto dei costituzionalismi, nella versione che potremmo chiamare classica del costituzionalismo tout court, e nella versione del neocostituzionalismo; l’altro è, almeno per ora, un microfenomeno, l’utilizzo dell’argomentazione culturale nei giudizi e il tentativo del giudice di farsi antropologo, al fine di far divenire l’argomentazione culturale ratio dedicendi del giudizio. Soprattutto, partendo dalle conseguenze che il tramonto dei costituzionalismi delineano sull’attuale orizzonte che l’interprete giudiziale trova attorno a sé quando si accinge ad interpretare, ed esaminando le conseguenze che l’argomentazione culturale, ovvero l’argomentazione della cultura altra, ha sul lavoro esegetico dell’interprete giudiziale, andremo ad esaminare alcune prevedibili conseguenze e rischi che la metodologiaantropologica comporta per l’ermeneutica giudiziale presente e futura.
2. IL TRAMONTO DEI COSTITUZIONALISMI
L’interprete giudiziale che attualmente debba volgere la sua attenzione all’interpretandum trova attorno a sé un orizzonte precomprensivo composito e contraddistinto da fenomeni evolutivi delle fonti giuridiche decisamente più accentuati di un tempo. In particolare, i principi e le norme di rilievo costituzionale interno, principi e norme statuiti o riconosciuti dallo stato, nonché, soprattutto, riconosciuti dalla giurisprudenza interna, da qualche tempo, non rappresentano più la pressoché univoca ed esclusiva fonte di massima autorevolezza argomentativa per l’interprete giudiziale. Ovviamente l’interprete giudiziale, nel suo operare per giungere al decisum, prendeva e prende in considerazione pure le norme legislative o norme assimilabili a queste, le decisioni giurisprudenziali sotto il più ampio spettro, gli usi e tutto quanto, dell’orizzonte precomprensivo interno poteva e può avere una rilevanza giuridica. Ad ogni modo, almeno sino a qualche tempo fa, in via pressoché esclusiva l’interprete giudiziale, nel pervenire alla sua valutazione giudiziale conclusiva, si atteneva, specificamente in caso di dubbio, ad una ponderazione dei principi di rilievo costituzionale interno, o, qualora non rinvenisse alcuna disposizione riconducibile alla questione da esaminare, si rifaceva sempre a principi e norme di rilevo costituzionale interno, e costantemente l’applicatio del giudice era caratterizzata, pressoché esclusivamente, dal riferimento, esplicito e/o implicito, all’autorevolezza dei principi costituzionali interni.
Stiamo evidentemente facendo riferimento ad assunti per lo più propri del costituzionalismo interpretativo e del neocostituzionalismo interpretativo, vaste correnti della teoria dell’interpretazione giuridica contemporanea[2]. Anche se, per essere più precisi, per molti esponenti del costituzionalismo e del neocostituzionalismo in genere, il rifarsi dell’interprete giudiziale in via pressoché esclusiva ai principi ed alle norme costituzionali nella sua opera interpretativa, ha una valenza tuttora esclusiva, e non posta in seria discussione, sul piano dell’esclusività, dall’accentuarsi dei fenomeni evolutivi delle fonti giuridiche di cui si diceva prima (per quanto pure agli esponenti del costituzionalismo e del neocostituzionalismo non sfugga l’esistenza dei detti fenomeni evolutivi delle fonti giuridiche). Poi, in estrema sintesi ed in linea generale, per i costituzionalisti ed i neocostituzionalisti la validità di una norma giudiziale, di un decisumtrova la sua legittimazione ultimail suo fondamento argomentativo ultimo, ed infine la sua validità sostanzialesolamente nella Costituzione dello stato, ovvero in principi e diritti fondamentali che esplicitamente e/o implicitamente vengono affermati nella Costituzione, non in fonti ulteriori. Così l’interpretazione costituzionale è una sorta di macchina continuamente in funzione[3], che agisce anche quando l’interprete non debba giudicare esplicitamente la conformità e congruità di una norma con la Costituzione.
In questa maniera si ha una costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico, un processo di trasformazione dell’ordinamento, mediante l’attività interpretativa, al termine del quale questo risulta totalmente impregnato da principi e norme costituzionali dello stato[4]; e, dunque, l’attività interpretativa si viene a connettere necessariamente ed esclusivamente con la Costituzione dello stato, ovvero con i principi e le norme da questa affermati esplicitamente e/o implicitamente[5]. Comunque, al di là dell’ideologia e della politica del diritto – per utilizzare un linguaggio tarelliano – che pone la Costituzione al vertice e al fondamento, in via esclusiva, dell’attività interpretativa giudiziale, al di là della estrema rilevanza della fonte costituzionale, quale fonte argomentativa ampiamente spesso decisiva, in via esplicita, e/o per lo più implicita, rilevanza riscontrabile in molti giudizi, è, d’altra parte, riscontrabile, e viene riscontrato dagli stessi studiosi del diritto costituzionale, come la Costituzione, quale fonte argomentativa superiore, esclusiva  e fondamentale del ragionamento giudiziale, non sia più da ritenersi tale, oppure, la sua superiorità ed esclusività è nel periodo attuale fortemente ridimensionata, o comunque, ridimensionata[6].
Così, cerchiamo di schematizzare i motivi essenziali, ovvero i principali fenomeni che stanno alla base dell’indebolimento strutturale dell’autorevolezza della fonte argomentativa costituzionale interna, soprattutto rispetto ad altre fonti argomentative la cui rilevanza sta assumendo progressivamente sempre maggiore importanza nel periodo attuale. Tali fenomeni sono soprattutto quelli che andiamo ad indicare qui di seguito.
Il supercostituzionalismo, la sovracostituzione internazionale, ovvero il costituzionalismo multilivello; l’ordinamento sovranazionale dell’Unione Europea; la giurisprudenzasovranazionale ed internazionale; il diritto internazionale espresso nei trattati; il dirittotransnazionale, dove agiscono attori pubblici e privati, oltre allo stato.
Con supercostituzionalismo, ovvero con costituzionalismo multilivello, intendiamo soprattutto la stesura e l’entrata in vigore di documenti giuridici sovranazionali, dove si cerca di riportare i principi e le norme fondamentali a cui i vari stati che aderiscono a quei documenti si richiamano a loro volta, con le loro costituzioni ed i loro ordinamenti. E fra questi documenti, a titolo esemplificativo, si può certamente citare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, emanata nel 2000, detta anche Carta di Nizza, ed il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. In questo modo, da un lato si avvererebbe secondo taluni una sorta di costituzionalizzazione dell’Europa, per cui il costituzionalismo in questo modo si rafforzerebbe; mentre, secondo altri – ed è una linea di pensiero che condividiamo – l’aderire alle Carte sovranazionali comporta l’aderire a principi e norme fondamentali esterni e diversi, per quanto per lo più congruenti con i principi e le norme fondamentali interne,  e questo non farebbe che indebolire l’applicazione giudiziale dei principi e delle norme costituzionali interne[7]. Poi, va considerato l’ordinamento dell’Unione Europea, dove particolare rilevanza assumono i regolamenti, disposizioni normative direttamente applicabili anche nell’ordinamento interno. E, oltre a questi fonti, peculiare rilevanza vengono ad assumere per il giudice-interprete i giudicati del Tribunale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (secondo grado di giurisdizione rispetto al Tribunale) e di altri organi giurisdizionali, i quali hanno essenzialmente il compito di garantire l'osservanza dei trattati fondativi dell'Unione europea. E assumono altresì rilevanza i giudicati della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la quale, nata da fonte pattizia di diritto internazionale, una Convenzione del 1950, progressivamente è divenuta sostanzialmente una fonte sovranazionale (aderendo a tale Convenzione dal 2004 anche l’Unione Europea) particolarmente autorevole ed utilizzata nell’interpretazione giudiziale. E comunque, di fatto, i giudicati degli organi giurisdizionali esterni sopra citati vengono ad interagire e modificare anche principi e norme fondamentali interne, facendo in modo che ordinamenti esterni vengano ad interagire e a modificare l’ordinamento interno. E nell’attività di modificazione dall’esterno dell’ordinamento interno intervengono, ovviamente, pure il diritto pattizio, espresso nei trattati internazionali, anche altri trattati oltre alla Convenzione a cui fa riferimento la CEDU, nonché il diritto transnazionale, dove agiscono attori pubblici e privati, oltre allo stato, il cosiddetto soft law (diritto morbido) e, all’interno di questo, la nuova lex mercatoria[8].
Dunque, l’accentuarsi della presenza di nuove fonti esterne rispetto alla Costituzione e all’ordinamento dello stato, l’accentuarsi della produzione esterna di nuovi principi e norme, la reciproca influenza che esercitano fra loro ordinamenti esterni ed ordinamento interno comportano la codeterminazione dei principi fondamentali e delle norme dei diversi ordinamenti, gli ordinamenti esterni e l’ordinamento interno, si ha una codeterminazione degli ordinamenti[9]. Di qui la Costituzione (da intendersi in senso allargato, sia la Costituzione formale che quella materiale, sia quei principi e norme fondamentali, espliciti ed impliciti, relativi all’ordinamento tali per cui senza di questi la Costituzione non esisterebbe nello stesso modo in cui esiste), non riesce più ad essere più ad essere l’esclusivo punto di riferimento della congruenza interpretativa, la quale interessa la produzione di nuove norme e soprattutto delimitava e condizionava decisamente ed in modo continuativo (anche in via implicita) il lavoro interpretativo dei giudici. Ora, la Costituzione rimane un punto di riferimento massimamente autorevole e decisivo per l’interprete giudiziale, ma non è più l’unico puntomassimamente autorevole, ve ne sono anche altri, di cui abbiamo detto. Così, si una nebulizzazione delle fonti argomentative a cui l’interprete si può volgere[10], si assiste ad un tramonto dei costituzionalismi e, di fatto, l’interprete giudiziale nel volgersi al suo orizzonte precomprensivo trova attorno a sé una molteplicità di ordinamenti compositi, dove non è più così certo quali fra questi ordinamenti sia più presuntivamente[11]autorevole rispetto agli altri.
3. L’OPERA INTERPRETATIVA DEL GIUDICE RIFERITA ALLA NUOVA RILEVANZA DEGLI ORDINAMENTE ESTERNI E DEL MULTICULTURALISMO
In questo nuovo contesto di nuove fonti argomentative massimamente autorevoli e nuovi ordinamenti – esterni rispetto all’ordinamento nazionale di appartenenza – ai quali il giudice interprete può far riferimento, l’orizzonte precomprensivo del giudice si allarga di molto, e la ponderazione della sua scelta, quale fra gli ordinamenti da prendere in considerazione per la risoluzione del caso concreto sia maggiormente rilevante e decisivo per la scelta interpretativa da fare, diventa decisamente più difficoltosa rispetto al passato e si accresce di molto la sua responsabilitàermeneutica[12]. Precedentemente, infatti, l’interprete giudiziale si rapportava ad un orizzonte precomprensivo pressoché unitario, dove i principi costituzionali interni erano pressoché gli unici astri di riferimento, ineludibili e caratterizzanti implicitamente e/o esplicitamente ogni interpreazione, o necessari per dirimere questioni controverse e pervenire ad interpretazioni costituzionalmente orientate. Ora invece sulla sua decisione possono influire, ed influiscono, in maniera decisamente più rilevante rispetto al passato, astri di ordinamenti esterni, come abbiamo già rilevato. Poi, occorre anche considerare il fatto che l’opera interpretativa del giudice italiano, almeno sino a qualche tempo fa, aveva uno sfondo culturale pressoché uniforme, il quale caratterizzava in maniera pregnante aspetti non strettamente giuridici, ma intrinsecamente connessi con la sua opera interpretativa giuridica[13]. Da qualche tempo però questo sfondo culturale pressoché uniforme, soprattutto sulla base di fenomeni migratori insistenti sul territorio italiano, non è più tale, lo sfondo culturaleove attualmente opera il giudice-interprete è abbastanza uniforme, ma viene altresì caratterizzato da culture esterne, da culture estranee all’area dell’Unione Europea, da culture contraddistinte anche da valori, da aspetti sociologici, religiosi, antropologici molto diversi, aspetti alle volte radicalmente diversi, da quelli che attengono alla cultura italiana, ed europea. Con cultura intendiamo, soprattutto, un certo modo di vivere e comprendere la realtà[14], ovvero, una rete di significati (web of meanings) – per dirla con Clifford Geertz, nell’ambito dell’antropologia. La cultura risulta allora essere un sistema semiotico, un sistema di segni dotato di un proprio codice: chi vi appartiene sa come orientarsi nella rete perché conosce le modalità interpretative dei segni riferiti a quella cultura ed è in possesso del codice ermeneutico necessario per comprenderli; mentre chi appartiene ad una cultura esterna potrebbe fraintendere del tutto certi segni riferiti ad una determinata cultura. Di qui va data l’opportuna rilevanza alla “traduzione culturale”, ossia alla capacità di riportare, sul piano semantico, un comportamento, ovvero un segno, nel contesto culturale di provenienza[15]. Per quanto qui ci interessa, per cultura possiamo intendere una rete di significati e di regole, un orizzonte di significati e regole in cui e attraverso cui determinati soggetti vivono, un orizzonte che accompagnerà, in qualche modo, quei soggetti anche quando si dovessero trasferire in un altro, in un differente orizzonte culturale[16].
Dunque, venendo a considerare la situazione italiana, da qualche tempo, progressivamente, sulla base di rilevanti flussi migratori, l’orizzonte culturale nazionale, prima assolutamente dominante ed esclusivo rispetto a culture altre – intendendo con altre le culture extraeuropee ed extraoccidentali – va ad inglobare dentro di sé gruppi appartenenti a dette culture altre, e, pertanto, va ad inglobare pure, con i gruppi migratori, le dette culture altre. Si tratta di situazioni riconducibili al fenomeno del multiculturalismo, il quale di solito comporta situazioni di interlegalità[17], per cui, principalmente, gli appartenenti ad un determinato gruppo della cultura altra, da un lato si rapportano alla cultura ed all’ordinamento giuridico italiano, e, dall’altro, si attengono, con i loro comportamenti, alla cultura ed all’ordinamento di provenienza, esterni rispetto all’orizzonte italiano. Ora, queste situazioni solitamente portano a rivendicazioni culturali, per cui le culture esterne di minoranza, chiedono il riconoscimento delle loro differenze, anche sul piano politico e giuridico. E di qui si possono avere provvedimenti normativi, finalizzati alla conservazione dei valori della cultura altra. Certamente non sussistono peculiari problematiche per l’interprete giudiziale, fino a quando la cultura altra porta a tenere comportamenti, anche decisamente anomali per l’orizzonte culturale italiano, ma noncontrastanti con principi e norme giuridiche italiane – infatti secondo la norma generale esclusiva, tutto ciò che non è vietato è giuridicamente permesso[18]. Le problematiche invece vengono avvertite dagli interpreti giudiziali, allorché i comportamenti tenuti da soggetti appartenenti ad un gruppo di una cultura altra contrastano con principi e norme giuridiche italiane, e/o che hanno piena validità in Italia. E, di più, tali problematiche possiedono una specifica rilevanza allorché i soggetti ritengano, o dicano di ritenere, che hanno tenuto certe condotte, contrastanti con l’ordinamento giuridico italiano e inusuali per la cultura italiana, per rispettare le norme della loro cultura di appartenenza, la cultura altra, dove vige un ordinamento giuridico altro, congruente con detta cultura altra.
Su queste basi si possono concretizzare, e di fatto si sono concretizzate, condotte illecite culturalmente motivate, ovvero condotte riconducibili a specifici reati culturalmente motivati. In tali circostanze viene ampiamente utilizzato, soprattutto dai legali difensori dei soggetti ai quali viene attribuita tale tipologia di condotte, l’argomentazione culturale, per difendere i loro assistiti. Andiamo allora ad esaminare, in via del tutto sintetica, certi visioni interpretative dei giudici, che spesso implicano la tentazione dell’uso, ed alle volte l’uso, di una metodica antropologica in sede forense, al fine di rispondere all’argomentazione culturale. Ed andiamo altresì ad esaminare le fallacie ermeneutiche in cui possono incorrere in tale maniera gli interpreti giudiziali.
4. INTERPRETAZIONE GIUDIZIALE E METODOLOGIA ANTROPOLOGICA
Occorre preliminarmente segnalare che i contenziosi giudiziali italiani in cui viene utilizzato dai giudici, su istanza degli avvocati, l’argomentazione culturale, l’argomentazione della cultura altra rispetto alla nostra[19], non sono numerosissimi[20]. Eppure tale fenomeno, anche se per ora alquanto circoscritto, ha destato una certa attenzione nella dottrina[21], sia per la novità che l’uso dell’argomentazione culturale in ambito giudiziale rappresenta , sia perché si può prevedere – visto l’incrementarsi progressivo del numero dei soggetti appartenenti a culture altre sul nostro territorio – che le vicende dell’uso dell’argomentazione culturale in ambito giudiziale non si fermerà, anzi è possibile che si incrementi ulteriormente. Detto questo passiamo a riportare, in via del tutto sommaria, le ratiodecidendi culturali, relative a due vicende giudiziarie.
Vicenda 1. Un soggetto viene sottoposto ad un procedimento penale in quanto detentore di sostanza stupefacente in notevole quantità, una quantità di moltoeccedente il cosiddetto uso solamente personale della sostanza (e dunque il soggetto, per ciò stesso, diviene penalmente perseguibile). A difesa del soggetto si utilizza l’argomentazione culturale, sostenendo che sulla base della religione di cui il soggetto è praticante, la religione rastafariana, per certi versi distante dalle nostre tradizioni culturali-religiose, l’uso quotidiano della sostanza stupefacente, definita erba sacra, è suggerito, sino a 10 grammi al giorno.
Ratio decidendi culturale relativa alla vicenda. La Cassazione penale (IV sez., n. 923/2008) annulla con rinvio un precedente giudizio sull’imputato, perché, in forza della documentazione prodotta, “anche considerando la religione di cui l’imputato si è dichiarato praticante” la sua condotta può essere giustificata e invita pertanto il giudice di appello, sulla base delle considerazioni effettuate, sulla base del parametro ermeneutico fissato, a riconsiderare la condotta dell’imputato, il fatto per quale l’imputato è stato sottoposto a giudizio.
Vicenda 2. Un indiano, professante la religione sikh, in ossequio ai dettami del suo credo, porta in luogo pubblico un pugnale rituale, la cui lama è di circa 10 cm. Si tratta di un oggetto potenzialmente offensivo; dunque, sulla scorta dell’art. 4 della L. n. 110/1975, che fa divieto di portare armi ed oggetti atti ad offendere, il soggetto viene sottoposto a processo penale.
Ratio decidendi culturale relativa alla vicenda. Il tribunale di Cremona, con una sentenza del 19.2.2009, essenzialmente ritiene che la motivazione religioso-culturale, previa consultazione di documentazione attestante l’obbligo religioso per il sikh di portare il kirpan, il coltello rituale, sia idonea a giustificare la condotta dell’imputato, il quale viene pertanto assolto. Il giudice richiama poi, sul piano dei principi e delle norme che sottendono l’esercizio del diritto a portare tale arma rituale, l’art. 19 della Costituzione italiana, nonché l’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948, sia dall’art. 9 della legge 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, disposizioni tese a tutelare la libertà del soggetto, ed in particolare la sua libertà religiosa. Inoltre il giudice richiama una pronuncia della Corte Suprema canadese, del 2.3.2006, con la quale si legittima l’utilizzo del kirpan, per scopi simbolici, culturali-religiosi, addirittura all’interno degli edifici scolastici, pronuncia che si rifà ai valori del multiculturalismo.
Rifacendoci soprattutto a queste due esemplificazioni di utilizzo dell’argomentazione culturale in ambito giudiziale – utilizzo che fa del giudice una sorta di antropologo – passiamo ad esporre alcune brevi considerazioni su tale nuovo fenomeno riguardante l’interpretazione giudiziale.
La cultura altra dalla nostra può anche divenire un’argomentazione particolarmente efficace per escludere la punibilità di certe condotte, ovvero, la cultura altra può divenire una causa di giustificazione in ambito penale: l’esercizio del diritto di porre in essere certe condotte, illegali, se poste in essere da un cittadino italiano e/o europeo, legali, se poste in essere da un soggetto che si rifà ad una cultura altra, ritenuta meritevole di tutela[22]. Ma quando e perché una cultura altra diviene meritevole di tutela?
Innanzitutto occorre rimarcare il fatto che si sta parlando di cultura in un’accezione antropologica, cultura come rete semantica e regolativa originaria e specifica di un determinato popolo e/o di un determinato gruppo. Nel nostro paese la cultura, in tale accezione, ha avuto almeno un parziale riconoscimento di diritti, nei confronti di minoranze da tempi remoti presenti sul territorio italiano[23]. Ma tale riconoscimento – basato principalmente sull’art. 6 Cost. – è stato volto soprattutto a garantire diritti culturali, per esempio diritti a fruire di tipologie di istruzione differenziata, a minoranze contraddistinte da culture omogenee con quella italiana e non decisamente confliggenti con la medesima cultura italiana; di qui non si è sostanzialmente mai ricorso a cause di giustificazione culturali in materia penale. Comunque, il riferimento, per quanto debole, dell’argomentazione culturale al principio della protezione delle minoranze esiste. Ed esiste pure il riferimento dell’argomentazione culturale al diritto di aderire liberamente a qualsiasi religione ed ai suoi riti, purché non contrastanti con il buon costume interno (si vedano artt. 8 e 19 Cost.), per cui la cultura viene vista pure, in determinati casi giudiziali, simili a quelli sopra esposti, come religione. Inoltre l’argomentazione culturale si fonda anche, certamente, su disposizioni sovranazionali, che prescrivono di rispettare le differenzeculturali (si veda, a titolo esemplificativo, l’art. 27 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sottoscritto anche dall’Italia nel 1966 ed entrato in vigore, per quanto attiene allo stato italiano nel 1978[24]).
Ad ogni modo, l’argomentazione culturale fa il suo ingresso nelle questioni ermeneutiche giudiziali su istanza della difesa del soggetto coinvolto nel caso specifico, E, in via implicita o esplicita, l’argomentazione culturale, a cui si richiama la parte, argomentazione che poi il giudice alle volte riconosce, come nelle vicende sopra esposte, si fonda su un potenziale riequilibrio delle differenze; cioè, l’argomentazioneculturale è fondata sul pensiero della differenza[25] e sul compito, mai terminato, di trattare in modo diseguale i soggetti al fine di renderli uguali di fronte alla legge, ovvero dare a tutti i medesimi diritti, trattando i soggetti diversi con modalità diverse.
E, più specificamente, come fa l’argomentazione culturale ad entrare nel procedimento; vi sono dei criteri intersoggettivi, insiti nella precomprensione del giudice, a cui fare riferimento per una adeguata valutazione dell’argomentazione culturale?
L’argomentazione culturale, nei due casi sopra esposti, ma sostanzialmente in tutti i casi sinora trattati dagli organi giurisdizionali italiani, entra principalmente mediante documentazione presentata dalla parte sottoposta al procedimento, ovvero dal suo legale[26]. Ed è a questo punto che l’interprete giudiziale si improvvisa, se ritiene di utilizzare l’argomentazione antropologica-culturale, antropologo. L’improvvisazione nasce dall’ovvietà che solitamente i giudici italiani non hanno una conoscenza accurata della cultura altra del soggetto sottoposto a procedimento. Inoltre, anche il fruire di una eventuale consulenza di un esperto antropologo risulta, di fatto, almeno in parte, problematico per questioni pratiche e relative alla materia stessa[27]. Di modo che il giudice nella sua veste di peritus peritorum assume su di sé la responsabilità ed il compito di farsi antropologo culturale. E a questo punto, verosimilmente, si produce, in via implicita, da parte dell’interprete giudiziale, un’argomentazione fallace: si afferma che una certa prescrizione della cultura altracostituisce per un determinato soggetto un obbligo, sentito come dovere morale e anche giuridico, e non si può dare prova contraria di ciò. Si tratta, dal punto di vista logico, di una fallacia ad ignorantiam. Infatti, solitamente, il giudice non potendo provare con certezza l’esistenza per il soggetto di una certa consuetudine culturale, allora, implicitamente, tende a persuadere dell’esistenza di detta consuetudine fondandosi sul fatto che provarne il contrario, per le altre parti processuali, diventa estremamente arduo. Ma il fatto che non si possa dare prova contraria, relativamente all’esistenza di un fenomeno, non significa che questo sia reale, sia vero[28]. Poi, questo atteggiamento ermeneutico, non fondato su una salda precomprensioneintersoggettiva, comporta che potenzialmente ogni parte del procedimento di cultura altra, conoscendo il proprio diritto, diventi per ciò stesso giudice di se stessa; cosicché si viene a stravolgere il principio iura novit curia, il quale diventa, omnia novit curia[29]. Inoltre, la detta modalità improvvisata del giudice di farsi antropologo culturale, comporta lo sfociare del ragionamento giudiziale in una sorta di panculturalismo, ovvero una fallacia panculturalista, dove non si riesce più a distinguere, per quel che attiene all’orizzonte altro, rispettivamente: quel che è culturale in senso lato, e dunque prescrittivo solo in senso lato, quel che è regola sociale, quel che è consuetudine, in un’accezione giuridica, quel che è principio e/o norma giuridici[30].
E va ancora considerato che, nella situazione attuale, dove sta avvenendo il tramonto dei costituzionalismi, dove è avvenuta e sta avvenendo una progressiva moltiplicazionedegli ordinamenti giuridici imprescindibili per l’interprete ed una sostanziale nebulizzazione delle fonti argomentative (si veda sopra, parr. 2 e 3) l’ingresso dell’argomentazione culturale e dell’antropologia improvvisata nei giudizi, rappresenta una modalità rapsodica, contrassegnata da incongruenze ed arbitrarietà, per iniziare ad introdurre nella giurisprudenza, e dunque negli ordinamenti giuridici già presenti e connotati da valori consolidati, ordinamenti estranei alla nostra cultura e, soprattutto, ordinamenti, per certi versi, connotati da valori nettamente confliggenti con quei valori sui quali gli ordinamenti italiano ed europei sono stati costruiti. E in particolare, questa importazione di valori e ordinamenti estranei avviene mediante precomprensionisoggettive, improvvisate e pertanto verosimilmente affette da ignoranza, degli interpreti giudiziali, e sicuramente non attraverso precomprensioni intersoggetive, che sono le uniche categorie ermeneutiche potenzialmente idonee a fondare il ragionamento giudiziale e a giustificare adeguatamente il decisum[31]. Le situazioni descritte, dove il giudice cede alla tentazione di farsi antropologo, mostrano con notevole nitidezza che la precomprensione giuridica, per essere tale, non può che essere intersoggettiva, quale garanzia di un corretto svolgersi del circolo ermeneutico giudizialee per assicurare l’isonomia, ovvero la tendenziale parità di trattamento rivolta ai consociati. Qualora non si instauri questa intersoggettività, basata su valori condivisi, fondamenta del nostro ordinamento giuridico, ovvero dei nostri ordinamenti giuridici, si apre la strada alla babele dei diritti, ed alla tendenziale disparità di trattamento. Cosicché, per esempio, può divenire un diritto portare un’arma in luogo pubblico, se un soggetto si possa ritenere appartenente ad un determinato credo e ad una determinata cultura altra; cosicché può divenire un diritto, detenere notevoli quantità di sostanze stupefacenti, se un soggetto si possa ritenere appartenente ad un determinato credo e ad una determinata cultura altra; mentre alla generalità dei soggetti tali “diritti” sono negati. 
(Altalex, 11 maggio 2016. Articolo di Germano Rossini)

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[1] Sulla prospettiva ermeneutica cfr. fra gli altri: F. Viola, G. Zaccaria, 1999; G. Rossini, 2005, 29 ss.  
[2] Con il termine 
costituzionalismo interpretativo intendiamo riferirci agli aspetti prettamente interpretativi del costituzionalismo; mentre con neocostituzionalismo interpretativo intendiamo riferirci alla corrente giusfilosofica del neocostituzionalismo, per quanto attiene alla riflessione sull’interpretazione giuridica operata dalla detta corrente. Notoriamente con costituzionalismo si intende quel vastissimo movimento politico, filosofico e culturale dell’Occidente, il quale ha portato, mediante le democrazie, all’instaurazione degli stati costituzionali di diritto, con l’entrata in vigore delle costituzioni. Ed in queste si riflettono giuridicamente i valori di una certa comunità e di un certo orizzonte culturale; ed ovviamente ciò vale anche per l’Italia. (Sul costituzionalismo la letteratura critica non può che essere sterminata: a mero titolo esemplificativo ed introduttivo, cfr. A. Barbera, 2003; G. Zagrebelsky, 1992, 39 ss.) Di qui, sul piano esegetico, mediante l’utilizzo di procedure appropriate e l’utilizzo di diverse metodiche ermeneutiche, si è attuata e si attua attraverso la Costituzione un continuo rimodellamento dell’intero ordinamento (cfr. F. Viola, G. Zaccaria, 2003, 170). Mentre il neocostituzionalismo interpretativo, sulla medesima lunghezza d’onda del costituzionalismo, detto in termini del tutto sommari, pone l’accento sul fatto che esiste una connessione necessaria fra diritto e valori etici di una comunità, connessione attuata nei valori costituzionali; i valori etici si traducono così in principi giuridici, i quali hanno una supremazia esegetica sulle norme, da cui si distinguono strutturalmente. Cfr. V. Omaggio, 2003, 91 ss.; G. Zagrebelsky, 1992, 147 ss.
[3] Cfr. V. Villa, 2012, 9.
[4] Cfr, R. Guastini, 1990, 185.
[5] Cfr. V. Villa, 2012, 7 ss.
[6] Cfr., fra gli altri, G. Azzariti, S. Dellavalle
2014.  
[7] Cfr. ivi, 31 ss.
[8] Su queste tematiche cfr. fra i tanti: M.R. Ferrarese, 2005; 2006; G. Zaccaria, 2012, 26-28.
[9] Cfr. ivi, 20, 25.
[10] Cfr. G. Berti, 2006, 32.
[11] Secondo la
 prospettiva ermeneutica una gerarchia formale che guidi necessariamente l’interpretatio del giudice non esiste, e non è mai esistita neppure prima del tramonto dei costituzionalismi. La gerarchia formale delle fonti argomentative viene vista solo come presunta sul piano gerarchico. Quel che conta per l’interprete giudiziale è essenzialmente la gerarchia sostanziale delle fonti, nonché il criterio della competenza delle fonti, che si viene a costituire mediante l’esame e la risoluzione del caso concreto. Cfr. G. Zaccaria, 2012, XI, 25-26; F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 351.   
[12] Cfr. G. Zaccaria, 2012, 26.
[13] Sulla rilevanza degli aspetti 
culturali, o extragiuridici, nell’interpretazione giudiziale cfr., fra gli altri: F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 145 ss., 450 ss.
[14] Cfr. G. Vattimo, 1994, 113-114.
[15] Cfr, C. Geertz, 1973, 11.
[16] Ovviamente le definizioni di 
cultura ed i modi di intenderla da parte dei vari esponenti delle scienze umane in genere sono davvero tantissimi e la letteratura in materia è sterminata; tuttavia, per le nostre finalità, riteniamo siano sufficienti le definizioni date sopra.   
[17] Cfr. B. de Sousa Santos, 1987, 298.
[18] Nell’ordinamento italiano, similmente alla generalità degli ordinamenti, vige, seppur non espressamente codificata, o non codificata nella maniera che segue, la 
norma generale esclusiva, secondo la quale tutto ciò che non è vietato  è  permesso,  ovvero,  è  legittimo  porre  in  essere  qualsiasi  condotta  (anche  omissiva)  che non  sia  vietata  da  norme  giuridiche. Sulla norma generale esclusiva e sulle  varie  problematiche  che  questa  norma  sottende cfr. fra  gli  altri: N.  Bobbio, 1960, 152-157; E.  Pattaro, 2002, 103-105. Comunque, in sede penale, una trascrizione di tale norma teorica si ha nell’articolo 1 del Codice Penale, “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.
[19] L’
argomentazione culturale è stata primariamente utilizzata, dagli anni 70 in poi, dalla giurisprudenza penalistica inglese, con la denominazione cultural defence. Cfr., fra i tanti, S. Poulter, 1986.
[20] Per una sommaria rassegna dei casi giudiziali italiani nei quali è stata utilizzata l’
argomentazione culturale cfr. I. Ruggiu, 2015; P.P. Emanuele 2011. 
[21] Cfr. principalmente: C. De Maglie, 2010; A. Bernardi, 2010; F. Basile, 2010; M. Nicolini, F. Palermo, 2014, 513-549; I. Ruggiu, 2012; 2015.
[22] Occorre comunque segnalare che la giurisprudenza italiana ha anche espresso un orientamento 
tradizionale e implicitamente consolidato (visto che da tempi alquanto recenti l’argomentazione culturale è stata utilizzata nei procedimenti) teso a non riconoscere alcuna rilevanza giuridica all’argomentazione culturale, se intesa quale causa di giustificazione di una condotta contra legem. Si vedano fra le altre le seguenti sentenze: 2841/2007 Cass. Pen. III sez.; 6587/2010 Cass. Pen. I sez.; 45516/2008 Cass. pen. IV sez.: è “necessario prestare attenzione alle situazioni reali al fine di non criminalizzare condotte che rientrino nella tradizione culturale di un popolo […] fermo restando, però, che se determinate pratiche, magari anche consuetudinarie e tradizionali, mettano a rischio diritti fondamentali dell‟individuo garantiti dalla nostra Costituzione o confliggano con norme penali che proprio tali diritti cercano di tutelare, la repressione penale è inevitabile. È fin troppo evidente, infatti che consuetudini contrarie all’ordinamento penale non possano essere consentite”. E, d’altra parte, è pure presente nella giurisprudenza italiana un orientamento teso a vedere nella motivazione culturale, posta alla base di una condotta, una sorta di aggravanteculturale appunto, tale per cui una certa condotta contra legemculturalmente motivata, implica che questa debba essere giudicata con una peculiare severità dall’interprete giudiziale. Tanto “più le condizioni di vita individuale, familiare, sociale rispecchiano un sistema di regole antitetiche a quelle cui si ispira la tutela penale, tanto più deve essere severa la sanzione”. Sent. GUP di Bologna del 16.11.2006.      
[23] Si sta facendo evidentemente riferimento alle minoranze linguistiche ed etniche presenti da diverso tempo sull’attuale territorio italiano: la minoranza francofona, presente in Val d’Aosta, quella germanofona in Trentino-Alto Adige, quella slovena in Friuli-Venezia Giulia, quella ladina nelle zone dolomitiche. Inoltre vi sono minoranze più esigue di ascendenza catalana, greca e albanese situate in altri territori della Penisola. Tali minoranze sono state e sono tutelate soprattutto sulla base dell’art. 6 della Costituzione e della legge 482/1999.
[24] Art. 27: “In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.
[25] Sul 
pensiero della differenza cfr. fra gli altri: Young I.M., 1966; González Díez J., Vargas A.C., 2010, 71-109.
[26] Cfr. I. Ruggiu, 2012, 67.
[27] Non esiste un albo degli antropologi, accreditati presso gli organi giurisdizionali e la materia è interessata da varie divergenze teoriche, relativamente alla considerazione data ad una serie di usi e costumi relativi alle 
culture altre. Cfr. I. Ruggiu, 2015, 19. Ad ogni modo va anche precisato che la nomina di un consulente non iscritto ad un apposito albo non produce nullità né della nomina, né della consulenza data nell’ambito di un procedimento dal soggetto esperto in una determinata materia. Cfr. sent. Cass. pen. 2211 del 23.11.2005.    
[28] Sulla 
fallacia di ignoranza cfr., fra gli altri, I. M. Copi, 1964, 73.
[29] Cfr. I. Ruggiu, 2015, 20.
[30] Cfr. I. Ruggiu 2012, 66-67; 197-200.
[31] Cfr. : F. Viola, G. Zaccaria, 1999, 187 ss.; 255 ss