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lunedì 27 gennaio 2020

Oltre la destra e la sinistra: la necessità di una nuova direzione

Oltre la destra e la sinistra: la necessità di una nuova direzione

martedì 19 febbraio 2019

Il marchio Chiara Ferragni e l’analisi della similarità della Corte di Giustizia



DI 


La famosa fashion blogger Chiara Ferragni torna a far parlare di sé. Questa volta non sui social network o sulle riviste di moda, bensì davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
L’8 febbraio 2019 la Corte ha affermato che il marchio figurativo “CHIARA FERRAGNI” costituisce un marchio dell’Unione Europea[1]. La fashion blogger potrà dunque proseguire il suo progetto di internazionalizzazione dei suoi prodotti senza incorrere in ostacoli giuridici. Ma l’importanza della decisione non risiede solamente in questo elemento.
Infatti, i giudici del Lussemburgo offrono una chiara esplicazione di come debba essere effettuato il difficile esercizio di analisi della similarità tra due segni e di applicazione dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza e dalla pratica degli Uffici.
Ripercorriamo brevemente la vicenda che ha portato alla pronuncia.

sabato 4 agosto 2018

Così Max Stirner difese "L'unico" dalla tirannia dei molti


Il filosofo tedesco torna d'attualità in un mondo dove la politica si basa sempre su gruppi e lobby

A giugno è uscita in libreria, per i tipi di Bompiani, la nuova traduzione italiana di L'Unico e la sua proprietà (Bompiani, pagg. 992, euro 40), il capolavoro dell'anarchico bavarese Max Stirner (1806-1856).Molti considerano Stirner un precursore del nichilismo o (peggio) dell'esistenzialismo. Ma non è esattamente così. E L'Unico è un testo straordinariamente attuale nell'epoca che stiamo attraversando, tutta fondata sulla contrapposizione cruenta tra gruppi, lobby e corporazioni. Una stagione nella quale perfino la più antica democrazia del pianeta, quella nata negli Stati Uniti d'America, si contorce tra gli spasmi di una politica identitaria basata sul microtargeting, cercando di blandire un numero sempre maggiore di fazioni spesso incompatibili tra loro per raggiungere la soglia di una (effimera) maggioranza aritmetica.
Stirner non ha alcuna pretesa ideologica in senso stretto. E non propone soluzioni mirabolanti (che in genere provocano qualche milione di morti). Stirner non fonda partiti e non aderisce a movimenti, né lascia ai posteri una qualche forma di indicazione su progetti politici o sociali da realizzare, come provarono a fare i suoi conoscenti nella cerchia della sinistra hegeliana (da Bauer a Feuerbach, da Ruge a Engels). L'Unico di Stirner che tra l'altro non si definisce mai anarchico è semplicemente un individuo. Banalmente, eroicamente, tragicamente, un individuo.
I diritti vanno molto di moda. E ogni quindici minuti nasce una campagna per denunciare i nostri pregiudizi e le nostre viltà. Ottimo. Però c'è qualcosa che manca. Si parla sempre e soltanto di gruppi. E si tracciano confini, come se ogni categoria fosse un popolo diverso, con la sua identità, i suoi uffici stampa, i suoi centri di reclutamento, i suoi interessi troppo particolari, le sue permalosità ancestrali. Nessuna attenzione, invece, per il semplice individuo. Senza aggettivi qualificativi, senza generi, senza razza.
Il cane sciolto, spesso percepito come un'astrazione, è invece maledettamente reale, perché è proprio intorno a lui che è stata costruita l'architettura dei diritti dell'uomo in Occidente. Una storia, per niente lineare non ancora conclusa, che racconta la fuga dalla schiavitù cominciata dai servi della gleba, dai feudi verso le città, strappando anno dopo anno un centimetro di libertà in più. Solo che tutto questo è inutile se si mette da parte l'uno. Se non si difendono i diritti del singolo, tutto il resto diventa un esercizio retorico. Se salta l'individuo, ogni gruppetto si rifugia nel suo territorio, pensando a difendere non l'uomo, ma uno dei tanti aggettivi che servono a qualificarlo. Se salta l'uno, la prossima volta poi tocca a te. In un mondo dove ci si ammazza per la classe, la razza, lo stato o la religione, l'individuo è un intruso, un clandestino. Eppure senza di lui non c'è nulla.
Oggi l'individuo è sotto attacco. E le ingiustizie esercitate nei suoi confronti stanno rapidamente diventando scontate, normali. L'individuo è sotto attacco quando il 40 per cento dei carcerati sta dietro le sbarre senza un processo o una sentenza definitiva. Quando lo stato si appropria senza particolare destrezza della metà del tuo reddito. Quando le intercettazioni non vengono utilizzate come prove in un processo ma finiscono sui giornali per improvvisare processi di piazza. Quando esistono voti che pesano più di altri, o idee più umane di altre. Quando un welfare grasso e politicamente corretto non si accorge della tua esistenza perché non esiste una lobby dei cani sciolti. Alla fiera delle identità, dove si vendono orgogli e pregiudizi, se non hai una medaglietta non esisti.
Ecco perché bisogna riscoprire Stirner, con tutti i suoi difetti. L'unico è un libro scritto da chi è stanco di ascoltare le chiacchiere cariche di ipocrisia di vecchi reazionari, di giovani rampanti, di professionisti del pensiero progressista. Stirner non ne può più di sentire i filosofi della sinistra hegeliana stabilire cosa sia giusto e cosa sia riprovevole. È stanco della mediocrità che vede in giro. L'unico è un atto di rabbia e ribellione, scritto con una prosa sublime che ogni tanto sconfina nel delirio d'onnipotenza. Si ribella alla religione, ma anche al liberalismo, al comunismo nascente e all'umanesimo socialista di Feuerbach. Si ribella a Dio e a chi ha sostituito Dio con altre categorie universali.
Contro tutto questo, Stirner, rivendica il suo Io. È un pazzo egocentrico? No, perché conosce bene la rabbia del suo delirio. Dice: ho fondato la mia causa sul nulla. Ma le altre cause, quelle metaindividuali, sono fondate sullo stesso nulla, anche se è un nulla che pretende di dire agli altri come devono vivere, di spiegare dove abitano il bene e il male. In un'epoca stuprata dalle orde dell'uomo-massa, insomma, sfogliare le pagine de L'Unico può essere un insospettabile balsamo per l'anima. In attesa del prossimo attacco contro l'individuo.

mercoledì 25 luglio 2018

Ben Tarnoff: nazionalizzare i dati

Ben Tarnoff sul Guardian ipotizza di nazionalizzare i dati.
La tesi (ne riporto sotto qualche passaggio, non fermatevi al titolo perchè fuorviante) è interessante. Ma il problema è che i dati sono duplicabili .....
<Facendo un parallelismo tra l’estrazione del petrolio e la raccolta dei big data, Tarnoff propone una strada tanto provocatoria quanto interessante: consentire alle aziende di utilizzare i dati che raccolgono, ma senza averne la proprietà. Allontanandoci dal discorso di Tarnoff (che propone di redistribuire i proventi di questa nazionalizzazione ai cittadini), si può invece immaginare di creare di un database in cui i nostri dati vengono immagazzinati (dopo che si è acconsentito al loro utilizzo) e resi accessibili a tutti gli attori a cui viene concesso di utilizzarli. Non solo imprese private, ma anche istituti di ricerca, accademie, ong e tutte le altre istituzioni che potrebbero mettere a frutto quel mare di informazioni che ogni giorno disseminiamo in rete; impedendo che siano solo poche realtà monopolistiche ad approfittarne.
Una visione utopistica, che richiederebbe un forte intervento della politica e la firma di accordi internazionali, ma che potrebbe avere ricadute molto positive sia sulla concorrenza, sia sull’utilizzo di queste preziose informazioni per scopi più nobili della targettizzazione degli annunci pubblicitari (pensate se la ricerca medica potesse accedere alle varie ricerche relative alla salute che facciamo su Google).
Non è tutto: sfruttando una tecnologia come la blockchain – il registro distribuito alla base dei bitcoin – si potrebbe creare un sistema in cui siano i singoli cittadini a mantenere il controllo sui loro dati; creando account personali in cui viene custodita la nostra identità digitale e lasciando a noi il compito di decidere a quali aziende o istituti vendere o scambiare i dati. La blockchain permetterebbe di automatizzare queste transazioni, di seguire gli spostamenti dei dati, monitorare l’utilizzo che ne viene fatto e bloccarne l’accesso se le condizioni sottoscritte non vengono rispettate.>
Alcuni lunk su cui approfondire

qui l'articolo di cui si discute


venerdì 13 luglio 2018

Il dovere di essere liberi : esiste il diritto di non essere liberi? (La Carta dei Doveri, i doveri fondamentali)



Nella carta dei doveri il secondo grande tema cui è dovuta trattazione è il dovere di essere liberi.
Questo dovere è generalmente sottovalutato. Tuttavia, dall’osservanza di tale dovere discende la garanzia di conservazione delle libertà fondamentali garantite dalla Carta Costituzionale.
Questo dovere trova la sua legittimazione filosofica già nell’interpretazione che di libertà dà Rousseau che ha influenzato  il moderno concetto di libertà.
Il  Contratto sociale di Rousseau inizia con le parole: ‟L'uomo è nato libero ma dovunque è in catene". Se questo principio vale per gli esseri umani in generale, a maggior ragione vale per gli esseri umani di genere femminile.
La logica in cui si muove l’elaborazione filosofica di Rousseau sulla libertà è ben sintetizzata da questo passaggio  “Si vede da questa formula che l'atto di associazione racchiude un'obbligazione reciproca tra pubblico e privati, e che ciascun individuo, contrattando, per così dire, con se stesso, si trova impegnato sotto un doppio rapporto; cioè come membro del sovrano verso i privati, e come membro dello Stato verso il sovrano. [...] Ora il sovrano, non essendo formato che degli individui che lo compongono, non ha né può avere interesse contrario al loro; per conseguenza il potere sovrano non ha affatto bisogno di un garante verso i sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri; e noi vedremo più oltre che nemmeno può nuocere ad alcuno in particolare. Il sovrano, per il solo fatto che è, è sempre tutto ciò che deve essere. Ma non è così dei sudditi verso il sovrano, al quale, nonostante il comune interesse, nulla risponderebbe dei loro obblighi, se egli non trovasse mezzi di assicurarsi della loro fedeltà. In realtà ogni individuo può, come uomo, avere una volontà particolare contraria o dissimile dalla volontà generale, che egli ha come cittadino; il suo interesse privato può parlargli in modo del tutto diverso dall'interesse comune [...]. Affinché dunque il patto sociale non sia una vana formula, esso deve racchiudere tacitamente questo impegno, il quale solo può dar forza agli altri: che chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò che non significa altro, se non che lo si costringerà ad esser libero; perché tale è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo garantisce da ogni dipendenza personale; condizione che forma il meccanismo e il funzionamento della macchina politica, che sola rende legittime le obbligazioni civili, le quali senza di ciò sarebbero assurde, tiranniche, e soggette ai più enormi abusi.”
(J. J. Rousseau, Contratto sociale)
Quindi, secondo Rousseau il cittadino sarà costretto ad essere libero e la libertà è una volontà collettiva. Per Rousseau infatti la società ideale è quella del contratto sociale in cui ciascuno è libero non già per l'estensione della sfera di libertà negativa di cui gode, ma in quanto ubbidisce alla legge che egli stesso attraverso la formazione di una volontà generale si è data.
E per Kant è società libera quella società in cui venga  garantita a ciascuno (sia esso individuo o sia esso Stato) la libertà esterna, cioè la libertà di fare tutto ciò che è compatibile con l'eguale libertà di tutti gli altri, una società insomma in cui vi sia il massimo possibile di libertà negativa, nel senso di  ‛libertà come assenza di costrizione' (‛libertà da') in contrapposizione al concetto di libertà positiva inteso come libertà di prendere delle decisioni senza essere determinato dal volere altrui (libertà di).
Montesquieu sintetizza il concetto in termini molto efficaci: ‟La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono" (De l'esprit des lois, XII, 2). E già Locke: ‟[...] la libertà degli uomini sotto un governo consiste [...] nella libertà di seguire la mia propria volontà in tutto ciò in cui la norma non dà precetti, senza esser soggetto alla volontà incostante, incerta, sconosciuta e arbitraria di un altro" (Secondo trattato sul governo, IV, 22).
Per Rawls la giustizia è " il primo requisito delle istituzioni sociali " in quanto "ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri " (Una teoria della giustizia). 
Rawls opera una finzione teorica e ipotizza una situazione iniziale in cui tutti i soggetti siano uguali (equità) muniti di autonomia a contrarre e ignorino quale ruolo andranno a ricoprire nel futuro contesto sociale (velo di ignoranza) ma dovranno contrarre il patto sociale . Dice Rawls “Credo che Kant abbia sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i principi della sua azione scelti da lui come l'espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed uguale. I principi in base ai quali agisce non vanno adottati a causa della sua posizione sociale o delle sue doti naturali, o in funzione del particolare tipo di società in cui vive, o di ciò che gli capita di volere. Agire in base a questi principi significherebbe agire in modo eteronomo. Il velo d'ignoranza priva la persona nella posizione originaria delle conoscenze che la metterebbero in grado di scegliere principi eteronomi. Le parti giungono insieme alla loro scelta, in quanto persone razionali, libere e eguali, conoscendo soltanto quelle circostanze che fanno sorgere il bisogno di principi di giustizia.” (Una teoria della giustizia)
 Il contraente dovrà così prevedere il peggio e non il meglio per sé, dovrà immaginarsi condannato ai lavori più ingrati della società poiché il suo futuro non dipenderà dalle sue azioni ma dalla mera casualità. La condivisione di determinati valori è significata dall'adesione a procedure argomentative e a principi di razionalità comuni. Dice Rawls <Questi valori rispecchiano un ideale di cittadinanza: la disponibilità a risolvere le questioni politiche fondamentali in modi di cui gli altri, in quanto liberi e uguali, possano riconoscere la ragionevolezza e razionalità. Da tale ideale nasce un dovere di civismo pubblico>. Dice Rawls <Se i cittadini di una società bene ordinata debbono riconoscersi reciprocamente come liberi e uguali, le istituzioni di base debbono educarli a pensarsi come tali nonché a professare pubblicamente e incoraggiare negli altri questo ideale di giustizia politica. Tale compito educativo appartiene a quello che possiamo chiamare il ruolo ampio di una concezione politica. (...) Il conoscere la cultura pubblica e parteciparvi è uno dei modi in cui i cittadini imparano a pensarsi come liberi e uguali - un'idea che probabilmente non arriverebbero mai a concepire, e ancor meno accetterebbero, o aspirerebbero a realizzare, se fossero lasciati alle loro riflessioni personali> (p.63).Tali valori sono inevitabilmente ricollegati a una dimensione storico-territoriale. Rawls definisce <una decisione grave> quella di abbandonare lo Stato nel quale si è cresciuti e si è stati educati e di cui si sono introitati i valori. Tale decisione, infatti,<significa lasciare la società e la cultura in cui siamo stati allevati, di cui usiamo la lingua, parlando e pensando, per esprimerci e per capire noi stessi, i nostri fini, obiettivi e valori; la società e la cultura dalla cui storia, dai cui costumi, dalle cui convenzioni dipendiamo per individuare il nostro posto nel nostro mondo sociale> (p.105). Per Rawls nella posizione originaria le parti contraenti non inventano ex novo un ordinamento politico. Scrive infatti : <Ci limitiamo a immaginare che [le parti contraenti] abbiano in mano una lista, o diciamo pure un menu, di principi; in questa lista sono comprese le più importanti concezioni della giustizia politica presenti nella tradizione della filosofia politica insieme a diverse altre opzioni che desideriamo esaminare. Le parti devono mettersi d'accordo su una delle alternative di questo menu>. Sempre mutuando da Rawls, l'eguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali è un diritto assoluto, che non ammette eccezioni nè compromessi in quanto <ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri>.
Queste libertà dunque sono primariamente un dovere da parte dei cittadini da assolvere rigorosamente nel rispetto della legge, in ossequio al principio di legalità sancito dalla Costituzione.

In questo senso l’art. 3 Cost ci impone il dovere di riconoscere a tutti pari dignità sociale soprattutto il dovere di rispettare in egual modo la legge senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali.

venerdì 8 giugno 2018

Il paradosso dell'ignoranza - L'effetto Dunning-Kruger

McArthur Wheeler non poteva passare inosservato. Quarantacinque anni, alto poco meno di un metro e sessanta e pesante poco più di 120 chili, venne riconosciuto senza difficoltà dai testimoni come il responsabile di ben due colpi in pieno giorno a Pittsburgh. Le telecamere di sorveglianza lo mostravano a volto scoperto, la pistola in mano. Quando venne arrestato non ci poteva credere: “Ma io ero ricoperto di succo!” disse ai poliziotti. Succo di limone. Wheeler si era ricoperto il volto di succo di limone, convinto che questo potesse garantirgli l’invisibilità. Gli investigatori riferirono che il rapinatore non aveva improvvisato, ma si era preparato accuratamente. “Il succo di limone mi bruciava la faccia e gli occhi, facevo fatica a vedere” avrebbe detto poi ai poliziotti. Nel corso dei  preparativi si era persino scattato un selfie con una polaroid, per verificare che il metodo fosse davvero efficace. E nella foto lui effettivamente non c’era – probabilmente l’acidità  gli aveva impedito di prendere bene la mira. McArthur aveva ottenuto la prova che cercava. Il succo di limone funzionava: era diventato completamente invisibile.
David Dunning, professore di psicologia sociale alla Cornell University, lesse la notizia sul World Almanac del 1996, sezione Offbeat News Stories. Lo psicologo pensò: se Wheeler era troppo stupido per essere un rapinatore, forse era anche troppo stupido per sapere di essere troppo stupido per essere un rapinatore. “La sua stupidità gli nascondeva la sua stessa stupidità” pensò lo psicologo. Dunning si chiese poi se fosse possibile misurare il livello di competenza che ciascuno crede di avere confrontandolo con la reale competenza. Nelle settimane successive organizzò un progetto di ricerca con un suo laureando, Justin Kruger. Il loro paper Unskilled and Unaware of It: How Difficulties of Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-assessmentsvenne pubblicato nel 1999 e da allora è un piccolo classico degli studi sull’ignoranza di sé. Il risultato delle ricerche dei due studiosi è conosciuto come “effetto Dunning-Kruger”.
Di che cosa si tratta? “Quando le persone sono incompetenti nelle strategie che adottano per ottenere successo e soddisfazione, sono schiacciate da un doppio peso: non solo giungono a conclusioni errate e fanno scelte sciagurate, ma la loro stessa incompetenza gli impedisce di rendersene conto. Al contrario, come nel caso di Wheeler loro hanno l’impressione di cavarsela egregiamente”, spiega Dunning.




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Il paradosso dell'ignoranza - L'effetto Dunning-Kruger