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venerdì 13 luglio 2018

Il dovere di essere liberi : esiste il diritto di non essere liberi? (La Carta dei Doveri, i doveri fondamentali)



Nella carta dei doveri il secondo grande tema cui è dovuta trattazione è il dovere di essere liberi.
Questo dovere è generalmente sottovalutato. Tuttavia, dall’osservanza di tale dovere discende la garanzia di conservazione delle libertà fondamentali garantite dalla Carta Costituzionale.
Questo dovere trova la sua legittimazione filosofica già nell’interpretazione che di libertà dà Rousseau che ha influenzato  il moderno concetto di libertà.
Il  Contratto sociale di Rousseau inizia con le parole: ‟L'uomo è nato libero ma dovunque è in catene". Se questo principio vale per gli esseri umani in generale, a maggior ragione vale per gli esseri umani di genere femminile.
La logica in cui si muove l’elaborazione filosofica di Rousseau sulla libertà è ben sintetizzata da questo passaggio  “Si vede da questa formula che l'atto di associazione racchiude un'obbligazione reciproca tra pubblico e privati, e che ciascun individuo, contrattando, per così dire, con se stesso, si trova impegnato sotto un doppio rapporto; cioè come membro del sovrano verso i privati, e come membro dello Stato verso il sovrano. [...] Ora il sovrano, non essendo formato che degli individui che lo compongono, non ha né può avere interesse contrario al loro; per conseguenza il potere sovrano non ha affatto bisogno di un garante verso i sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri; e noi vedremo più oltre che nemmeno può nuocere ad alcuno in particolare. Il sovrano, per il solo fatto che è, è sempre tutto ciò che deve essere. Ma non è così dei sudditi verso il sovrano, al quale, nonostante il comune interesse, nulla risponderebbe dei loro obblighi, se egli non trovasse mezzi di assicurarsi della loro fedeltà. In realtà ogni individuo può, come uomo, avere una volontà particolare contraria o dissimile dalla volontà generale, che egli ha come cittadino; il suo interesse privato può parlargli in modo del tutto diverso dall'interesse comune [...]. Affinché dunque il patto sociale non sia una vana formula, esso deve racchiudere tacitamente questo impegno, il quale solo può dar forza agli altri: che chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò che non significa altro, se non che lo si costringerà ad esser libero; perché tale è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo garantisce da ogni dipendenza personale; condizione che forma il meccanismo e il funzionamento della macchina politica, che sola rende legittime le obbligazioni civili, le quali senza di ciò sarebbero assurde, tiranniche, e soggette ai più enormi abusi.”
(J. J. Rousseau, Contratto sociale)
Quindi, secondo Rousseau il cittadino sarà costretto ad essere libero e la libertà è una volontà collettiva. Per Rousseau infatti la società ideale è quella del contratto sociale in cui ciascuno è libero non già per l'estensione della sfera di libertà negativa di cui gode, ma in quanto ubbidisce alla legge che egli stesso attraverso la formazione di una volontà generale si è data.
E per Kant è società libera quella società in cui venga  garantita a ciascuno (sia esso individuo o sia esso Stato) la libertà esterna, cioè la libertà di fare tutto ciò che è compatibile con l'eguale libertà di tutti gli altri, una società insomma in cui vi sia il massimo possibile di libertà negativa, nel senso di  ‛libertà come assenza di costrizione' (‛libertà da') in contrapposizione al concetto di libertà positiva inteso come libertà di prendere delle decisioni senza essere determinato dal volere altrui (libertà di).
Montesquieu sintetizza il concetto in termini molto efficaci: ‟La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono" (De l'esprit des lois, XII, 2). E già Locke: ‟[...] la libertà degli uomini sotto un governo consiste [...] nella libertà di seguire la mia propria volontà in tutto ciò in cui la norma non dà precetti, senza esser soggetto alla volontà incostante, incerta, sconosciuta e arbitraria di un altro" (Secondo trattato sul governo, IV, 22).
Per Rawls la giustizia è " il primo requisito delle istituzioni sociali " in quanto "ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri " (Una teoria della giustizia). 
Rawls opera una finzione teorica e ipotizza una situazione iniziale in cui tutti i soggetti siano uguali (equità) muniti di autonomia a contrarre e ignorino quale ruolo andranno a ricoprire nel futuro contesto sociale (velo di ignoranza) ma dovranno contrarre il patto sociale . Dice Rawls “Credo che Kant abbia sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i principi della sua azione scelti da lui come l'espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed uguale. I principi in base ai quali agisce non vanno adottati a causa della sua posizione sociale o delle sue doti naturali, o in funzione del particolare tipo di società in cui vive, o di ciò che gli capita di volere. Agire in base a questi principi significherebbe agire in modo eteronomo. Il velo d'ignoranza priva la persona nella posizione originaria delle conoscenze che la metterebbero in grado di scegliere principi eteronomi. Le parti giungono insieme alla loro scelta, in quanto persone razionali, libere e eguali, conoscendo soltanto quelle circostanze che fanno sorgere il bisogno di principi di giustizia.” (Una teoria della giustizia)
 Il contraente dovrà così prevedere il peggio e non il meglio per sé, dovrà immaginarsi condannato ai lavori più ingrati della società poiché il suo futuro non dipenderà dalle sue azioni ma dalla mera casualità. La condivisione di determinati valori è significata dall'adesione a procedure argomentative e a principi di razionalità comuni. Dice Rawls <Questi valori rispecchiano un ideale di cittadinanza: la disponibilità a risolvere le questioni politiche fondamentali in modi di cui gli altri, in quanto liberi e uguali, possano riconoscere la ragionevolezza e razionalità. Da tale ideale nasce un dovere di civismo pubblico>. Dice Rawls <Se i cittadini di una società bene ordinata debbono riconoscersi reciprocamente come liberi e uguali, le istituzioni di base debbono educarli a pensarsi come tali nonché a professare pubblicamente e incoraggiare negli altri questo ideale di giustizia politica. Tale compito educativo appartiene a quello che possiamo chiamare il ruolo ampio di una concezione politica. (...) Il conoscere la cultura pubblica e parteciparvi è uno dei modi in cui i cittadini imparano a pensarsi come liberi e uguali - un'idea che probabilmente non arriverebbero mai a concepire, e ancor meno accetterebbero, o aspirerebbero a realizzare, se fossero lasciati alle loro riflessioni personali> (p.63).Tali valori sono inevitabilmente ricollegati a una dimensione storico-territoriale. Rawls definisce <una decisione grave> quella di abbandonare lo Stato nel quale si è cresciuti e si è stati educati e di cui si sono introitati i valori. Tale decisione, infatti,<significa lasciare la società e la cultura in cui siamo stati allevati, di cui usiamo la lingua, parlando e pensando, per esprimerci e per capire noi stessi, i nostri fini, obiettivi e valori; la società e la cultura dalla cui storia, dai cui costumi, dalle cui convenzioni dipendiamo per individuare il nostro posto nel nostro mondo sociale> (p.105). Per Rawls nella posizione originaria le parti contraenti non inventano ex novo un ordinamento politico. Scrive infatti : <Ci limitiamo a immaginare che [le parti contraenti] abbiano in mano una lista, o diciamo pure un menu, di principi; in questa lista sono comprese le più importanti concezioni della giustizia politica presenti nella tradizione della filosofia politica insieme a diverse altre opzioni che desideriamo esaminare. Le parti devono mettersi d'accordo su una delle alternative di questo menu>. Sempre mutuando da Rawls, l'eguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali è un diritto assoluto, che non ammette eccezioni nè compromessi in quanto <ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri>.
Queste libertà dunque sono primariamente un dovere da parte dei cittadini da assolvere rigorosamente nel rispetto della legge, in ossequio al principio di legalità sancito dalla Costituzione.

In questo senso l’art. 3 Cost ci impone il dovere di riconoscere a tutti pari dignità sociale soprattutto il dovere di rispettare in egual modo la legge senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali.

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